Il male di tutti i mali: il capitalismo
“È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”. Così il filosofo Mark Fisher, il male di tutti i mali, aggiungo. Il capitalismo è il sistema che domina il pianeta e lo distrugge, usando tutti i mezzi di cui dispone. Distrugge per avere maggiori profitti. Distrugge per avidità. Un mostro che divora se stesso e l’intera umanità.
Il sistema capitalistico produce beni effimeri destinati a diventare spazzatura e rifiuti, ma nel contempo enorme ricchezza per un piccolo gruppo di persone. Il capitalismo consuma il futuro, il suolo, l’acqua, le risorse. Produce ricchezza per pochi e fame per tanti. La guerra, anzi le guerre che si combattono in ogni angolo del pianeta terra, sono volute dal capitalismo, che lucra sulla pelle di una umanità innocente. Milioni di persone, di bambini, muoiono ogni giorno, ma le multinazionali produco e vendono armi. Il capitalismo produce e vende armi. L’umanità necessita di pane, ma loro, producono bombe.
La crisi ecoclimatica ha raggiunto livelli ben oltre la soglia di guardia, riguarda tutti noi, che rischiamo di non avere un futuro su questo pianeta, reso inabitabile dalla avidità del capitale. È necessario riprendere a dire cose non diciamo più e farle divenire parole di condanna per un sistema che uccide, distrugge, affama.
La disuguaglianza sociale sta toccando dimensioni sinora mai conosciute e, smascherando la narrazione del capitalismo come “migliore dei mondi possibili”, sta di fatto polarizzando le esistenze delle persone nella divisione in vite degne e vite di scarto. La democrazia, la falsa democrazia resa orpello formale dei grandi interessi finanziari, non solo viene espropriata, ma rischia addirittura di smettere di essere desiderabile per le fasce più svantaggiate della popolazione.
“Non è possibile risolvere i problemi utilizzando lo stesso modello di pensiero che li ha creati” diceva Albert Einstein, chiarendo come il problema non sia solo rimettere il mondo sui giusti binari, ma porre radicalmente in discussione la direzione verso la quale quei binari portano.
Ciò che oggi manca è la convinzione che il capitalismo si possa battere. È necessaria una rivoluzione culturale che rimetta al centro la questione del lavoro, senza sfruttamento, senza profitto, dove ognuno faccia la sua parte secondo le proprie capacità e ciascuno prende ciò che gli serve. Un mondo più giusto è un mondo senza capitale, senza capitalismo, senza capitalisti. Un mondo più giusto è un mondo senza guerra, senza fame, senza avidità. Dunque ciò che si deve fare è avere cura di sé, dell’altro, del pianeta, su cui riorganizzare una società capace di includere, capace di futuro, di redistribuzione equa, radicalmente alternativa alla società attuale basata sul profitto e sulla avidità.
Emanuele Caldarelli