Impariamo a condividere con amore

Vivere senza esserne consapevoli è non vivere. Vivere nel quieora con la gioia di donare amore, ogni istante della nostra vita, è vivere. Vivere con il meno, togliendo ogni giorno, qualcosa da donare, al nostro quotidiano. Vivere donando non ciò che riteniamo superfluo, ma ciò che per noi ha un valore. Vivere donando l’amore. Così la povertà è meno povera. Non si può parlare di povertà, di povertà astratta, quella non esiste! La povertà è la carne di Gesù povero, in quel bambino che ha fame, in quel senzatetto che ha freddo, in colui che è ammalato, in quelle strutture sociali che sono ingiuste. Guardiamo lì la carne di Gesù. Spezziamo lì il pane della fratellanza. Condividiamo con chi non ha nulla da condividere. La povertà ci chiama a seminare la speranza, per avere anche noi più speranza. E’ difficile da capire e ancora più difficile da fare, ma non possiamo parlare dei poveri, dobbiamo parlare con i poveri e condividere con loro il loro cammino. Noi abbiamo in dote, oltre agli averi, una cosa di valore immenso:l’amore. Ogni persona, ogni comunità sono chiamati ad essere strumento per la liberazione dei poveri dalla povertà, questo presuppone di essere amorevoli, attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo.

Oggi viviamo in un mondo che distrugge il mondo. Un mondo che genera povertà sempre più in profondità, nello stesso tempo decuplica in modo incontrollato la ricchezza. C’è un rapporto diretto tra povertà e ricchezza. Tanto più aumentano i ricchi, tanto più il mondo diventa povero. La ripartizione della ricchezza non è equa, è squilibrata, è disconnessa con le necessità primarie di miliardi di persone. La globalizzazione non ha avvicinato il mondo, come sembrerebbe, ma lo ha diviso e allontanato. Non c’è più il diritto ai beni primari come l’acqua. L’aria che respiriamo e velenosa, il mare non è più mare e non è più blù. Il profitto che produce ricchezza distrugge il mondo in cui viviamo e ci allontana da noi stessi. Non riconosciamo più il nostro fratello povero ai bordi della strada. Non ci fermiamo più a soccorrerlo neanche per donargli un sorriso. Siamo le vittime e i carnefici di noi stessi. Ci siamo talmente abituati che non ci facciamo caso. Vediamo la scandalosa distanza tra il lusso dei più ricchi e la miseria dei più poveri, e rimaniamo indifferenti. In ogni città, sui marciapiedi vediamo gente che non ha neanche da mangiare, bambini che chiedono pane, sotto le luci sfavillanti di negozi di lusso. Ci siamo talmente abituati a tutto ciò che non ci colpisce più. Il mondo soffre di molteplici forme di esclusione, emarginazione e povertà. Allora diventa importante, non guardarli da lontano o aiutarli da lontano, ma andare loro incontro a braccia aperte. Diventa importante condividere anche solo un pezzo di pane, solo così rinasce la speranza che tutto si può cambiare e che ogni simile è un fratello. Questo insegnano le divinità di ogni religione: andare incontro ai bisognosi e condividere. Il nostro Dio, Gesù, andava incontro ai poveri, era lui stesso povero, condivideva il pane e il sorriso con i poveri. Gesù, non parlava dei poveri, ma viveva con i poveri. In Lui c’era amore, in Lui c’è amore in ogni gesto. Gesù andava incontro alla gente che aveva bisogno, andava ad incontrarli.

“Lei fa l’elemosina? Si Padre. E quando fa l’elemosina, guarda negli occhi la gente a cui fa l’elemosina? Ah, non so, non me ne accorgo. Allora lei non ha incontrato la gente. Lei ha gettato l’elemosina ed è andato via. Quando lei fa l’elemosina, tocca la mano o getta la moneta? No, getto la moneta. E allora non lo hai mai toccato. E se non lo hai mai toccato, non lo hai incontrato. Non hai mai incontrato Gesù”. Ciò le divinità insegnano, innanzitutto, è incontrarsi e, incontrando, aiutare. Dobbiamo saperci incontrare, con amore. Dobbiamo edificare, creare, costruire una cultura dell’incontro e della condivisione. Una cultura dell’amore per respingere la cultura dell’esclusione creata dal profitto e dall’egoismo. Non abbiamo tempo per i poveri, andiamo sempre di corsa, il tempo non ci basta mai. Così dimentichiamo nostro fratello. Così abbiamo l’alibi per non stringere la mano all’emarginato.

Oggi abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna, che io chiamo “Sorellanza”. Siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita in cui guardiamo il fratello che sta male, sul ciglio della strada e pensiamo poverino, continuando per la nostra strada. Non è compito nostro e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla. Sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, verso i “sorelli”, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro! No, non è così che si vive. Impariamo a condividere l’amore, impariamo a vivere con le braccia aperte che accolgono, impariamo ad essere fratelli e sorelli di noi stessi. Amare l’amore del dono e della condivisione.

di Claudio Caldarelli

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