Patrioti

Ciò che hai fatto non sarà dimenticato. Né i giorni, ne gli uomini possono cancellare quanto fu scritto col sangue. Hai lasciato la casa, tua madre, per correre alla montagna. Ti han chiamato “bandito” “ribelle”; la morte e il pericolo accompagnavano i tuoi passi. Scarpe rotte, fredde, fame e un nemico che non perdona. Sei un semplice, un figlio di questo popolo che ha sofferto e che soffre: contadino o studente, montanaro o operaio. Nessuno ti ha insegnato la strada: l’hai seguita da solo, perché il cuore ti diceva così. Molti compagni sono rimasti sui monti, non torneranno. Neppure una croce segna la terra dove riposano. La tua guerra è stata la più dura, tanti sacrifici resteranno ignorati. Ti sei battuto da soldato. E da soldati sono caduti coloro che non torneranno. Tornerai alla tua casa, al lavoro. Comincerà l’altra battaglia per ricostruire ciò che fu distrutto. I campi devastati aspettano le tue braccia forti, le macchine delle officine sconvolte dovranno tornare a pulsare. I libri coltiveranno il tuo spirito, ti insegneranno quanto grande è la civiltà che il tuo paese ha proiettato sulle genti. Sei stato un buon soldato, sarai un buon lavoratore. Giosuè Borsi, un poeta combattente, lottò e cadde per un Italia più grande, ma soprattutto per “un’Italia più buona”. Anche tu vuoi che da tanti dolori nasca un mondo più giusto, migliore, che ogni uomo abbia una voce e una dignità. Vuoi che ciascuno sia libero nella fede, che un senso di umana solidarietà leghi tutti gli italiani tornati finalmente fratelli. Vuoi che questo popolo di cui sei figlio viva la sua vita, scelga e costruisca il proprio destino. Non avrai ricompense, non le cerchi. Sarai pago di vedere la Patria afflitta da tante sciagure risollevarsi. Uno solo è il tuo intento: perché l’Italia viva…
In ogni epoca, presso ogni popolo sorge il problema fondamentale nella cui soluzione è la condizione essenziale perché quel popolo non decada dal suo grado di civiltà e dalla sua dignità. Quando i partigiani combattono e, senza alcuna retorica, muoiono per non seguire la più facile soluzione di piegarsi a una esistenza contraria alla dignità, essi non suppongono neppure che al di qua delle linnee, nei luoghi in cui al tedesco distruttore si è sostituita la civiltà delle Nazioni Unite, li attende una svalutazione così terribile del loro gesto di ribellione tale cioè da portare quel gesto e quelle loro sofferte e conquistate posizioni di civiltà sul piano di un qualsiasi problema di polizia o, nel migliore dei casi di assistenza…per taluni l’arresto come sospetti di spionaggio, per tutti poi l’invio a un qualsiasi centro di raccolta dove non stanno in alcun modo meglio di quando erano alla macchia anzi, quasi sempre peggio. Cose queste che sarebbero, pur nella loro assurda ragionevolezza sopportabili, se malgrado questo poco lusinghiero trattamento l’atmosfera che circonda i Partigiani fosse di leale riconoscimento e di stima. Se insomma si dicesse loro che sono veramente i soldati di Italia, i combattenti della giustizia e libertà, i soli che nell’altezza del loro sacrificio, partecipano del grande fronte sorto nel mondo contro la tirannia e la ottenebrata schiavitù…”
Enzo Biagi ha scritto questo editoriale su uno degli ultimi numeri di “Patrioti” il giornale clandestino della I Brigata Giustizia e Libertà, di cui era direttore. Su Patroiti scrissero a turno anche altri partigiani, Biagi parlava con loro, scriveva il pezzo e lo firmava con il loro nome di battaglia. Enzo Biagi all’inizio del 1944 prese la decisione di diventare partigiano e di darsi alla macchia, il suo nome di battaglia: il giornalista. Non era uno stratega, ma aveva intuito l’importanza di diffondere quanto accadeva in montagna richiamandosi sempre agli ideali di giustizia e libertà. Fondò con pochi mezzi, il Patriota, composto da quattro pagine, che usci alla vigilia di Natale del 1944. Nel suo giornale, Biagi raccontava le storie dei partigiani, di come morivano in montagna, dei sacrifici cui erano sottoposti e delle privazioni, scriveva “…eravamo tutti uniti, ci sentivamo tutti uguali, avevamo la stessa visione delle cose. Dormivamo dove si poteva, spesso nei fienili”. Il Giornalista scriveva per far capire alla popolazione che la Brigata era formata da patrioti e non da banditi come raccontavano i nazifascisti. Biagi diceva che la Resistenza fu la risposta degli italiani, di quelli che dopo l’8 settembre non andarono a Salò.

di Enzo Biagi

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