ABBASSO IL SUD!

Si sa che il Sud è più povero del resto d’Italia e che è svantaggiato da molteplici fattori, che vanno dalla storia (la predazione subita da parte dei piemontesi con l’unificazione) alla posizione geografica, all’insufficienza di infrastrutture e servizi. Nella speranza di migliorare la condizione economica del Meridione, i nostri governi hanno stabilito agevolazioni più o meno valide, a partire dagli anni Cinquanta. Nel 2020 è stato istituito uno sgravio sul costo del lavoro per le regioni del Sud, che vale 3,3 miliardi l’anno e si applica a circa 3 milioni di lavoratori dipendenti, contribuendo a quell’aumento dell’occupazione di cui il governo Meloni tanto si vanta (98.000 nuovi posti nella sola Calabria).

A partire dal prossimo anno questo sgravio non ci sarà più, perché il governo ha deciso di sostituirlo con altre misure, “un insieme di soluzioni occupazionali per categorie”, secondo le fumose parole di Fitto. 

Il modus operandi è il solito: si abolisce quel che funziona, per sostituirlo con qualcosa che ancora non c’è e, soprattutto, costerà di meno. 

In questo caso il fatto è particolarmente grave e, infatti, se ne parla pochissimo.

Per capire che cosa succede, è necessario un piccolo passo indietro.

Dal 2017 le regioni hanno la possibilità di istituire delle Zone Economiche Speciali (ZES) all’interno delle quali le imprese già operative o di nuovo insediamento possono beneficiare di agevolazioni fiscali e di semplificazioni amministrative.

L’idea sembrava funzionare. Per esempio, la ZES Campania ha attratto, in totale, oltre due miliardi di investimenti e creato migliaia di nuovi posti di lavoro (dati 2023). 

Non si capisce perché, il governo ha deciso che, a partire dal 2024, le regioni non gestiranno più la propria ZES, che sarà sostituita da un’unica struttura centralizzata, sotto il controllo della presidenza del consiglio. 

Questo pretenderebbe di essere il governo dell’autonomia differenziata, ma in realtà sembra non tollerare nessuna forma reale di decentramento. E poi si sa, i soldi e i posti di lavoro è meglio gestirli in proprio.

Alcuni esperti hanno avanzato ragionevoli critiche all’accentramento, anche perché in altri Paesi le gestioni centralizzate hanno fallito. Ma forse bisogna capirli: come si fa a consentire che alcuni avversari politici (i nomi potete immaginarli) gestiscano settori con una così rilevante ricaduta elettorale?

Inoltre, il governo ha deciso di sospendere gli sgravi per il Meridione non con un atto legislativo, ma semplicemente omettendo di fare quanto la legge del 2020 prescriveva, cioè chiedere l’autorizzazione europea: cosa indispensabile dal momento che si tratta di aiuti di Stato alle imprese. Un’abrogazione implicita, dunque, fatta senza affrontare un dibattito parlamentare e, direi quasi, nella speranza di tenerla nell’ombra.

La nuova misura, che dovrebbe sostituire quella vecchia, ovviamente è ancora in pectore. Anche questo è tipico: togliere un beneficio senza aver realizzato ciò con cui si dice di volerlo sostituire. Quasi si volesse evitare il confronto. Infatti quel poco che si sa riguardo al nuovo non è per niente incoraggiante. 

Prima di tutto l’entità delle facilitazioni: le nuove misure, a quanto si desume dal decreto Coesione, varrebbero circa un terzo delle precedenti. 

Poi non sono a vantaggio del Sud, ma spalmate su tutto il territorio nazionale: quindi non portano alcun vantaggio alle ZES, centrali o periferiche che siano: queste sono state accentrate, ma forse stanno diventando inutili. 

Per finire, si applicheranno soltanto ai nuovi assunti e in particolare a donne e giovani (“per categorie”) mentre le agevolazioni finora in atto si applicavano a tutti i dipendenti, vecchi e nuovi, donne e uomini. Ma questa è l’unica garanzia che i nuovi assunti non siano l’involontaria causa del licenziamento dei vecchi.

Come si vede, non si tratta di un provvedimento che aggiunge qualcosa a favore delle categorie più sofferenti, ma di una misura che toglie ai più, prima di dare – ma di meno – ai meno.

Per concludere, si tratta di una vera e propria picconatura del sistema di sostegno allo sviluppo del Sud e, di conseguenza, dell’economia e dell’occupazione. Perché se il Sud non cresce, l’Italia non cresce, o cresce poco e male.

Nella prospettiva dell’attuazione dell’autonomia differenziata, sembra evidente il rischio di avvantaggiare le regioni più ricche, approfondendo il divario da quelle più povere. D’altronde, l’obiettivo del governo sembra essere di riservare le poche spese possibili alle riforme-bandiera, come la Fiat tax che, se attuata nella sua forma attenuata (a due aliquote), assorbirebbe oltre 50 miliardi. Per non ammainare quelle bandiere è costretto a stringere sui provvedimenti attuati dai precedenti governi, come il reddito di cittadinanza e i provvedimenti per il Sud. 

Fatto sta che il Meridione dovrà accontentarsi delle briciole, ben condite di bugie, come quelle sul ponte sullo Stretto, che ancora non sappiamo se potrà davvero essere fatto e se davvero abbia una qualche utilità. 

Cesare Pirozzi