Aminatou Haidar, la voce dell’ultima colonia

La chiamano la “Ghandi sahrawi”. Aminatou Haidar è la più influente attivista della causa del Sahara Occidentale. Col grande leader indiano ha in comune, oltre ai mezzi non violenti di protesta, anche la stessa forza interiore, una forza irriducibile e allo stesso tempo calma. È questo spirito che la spinge a denunciare da anni i torti subiti dal suo popolo, i sahrawi, come è tornata a fare anche nei giorni scorsi. Secondo Aminatou, ad oggi sarebbero 70 gli attivisti sahrawi detenuti in vari carceri marocchini.

La storia del popolo sahrawi e della loro terra non è una di quelle vicende di cui si parla spesso. Il Sahara Occidentale è stata un colonia spagnola fino al 1975. Da allora, su quella terra quasi totalmente desertica, si è scatenato una guerra che è durata 16 anni. Da una parte il Marocco, a cui gli spagnoli hanno lasciato il controllo del paese. Dall’altra il Fronte Polisario, che guida la gente che in quelle terre aveva sempre vissuto, i sahrawi appunto, un popolo nomade in cui si sono fusi il popolo arabo e quello berbero.

Nel 1991 il conflitto armato termina con un cessate il fuoco sotto l’intermediazione dell’Onu. Ma questo non ha fatto cessare la disputa territoriale.

L’accordo del ’91 prevedeva un referendum sull’autodeterminazione del popolo sahrawi, ma tuttora, quel referendum è rimasto ancora solo una promessa.

Oggi, il territorio è attraversato da nord a sud da un terrapieno di sabbia lungo 2.700 km e seminato di mine. Due terzi del paese sono controllati dal Marocco, l’altro terzo dal Fronte Polisario. La parte marocchina affaccia sull’oceano e possiede la più grande riserva di fosfato al mondo. La parte interna, invece, è praticamente priva di risorse.

Molti sahrawi vivono da decenni in campi profughi nella vicina Algeria. Chi è rimasto, invece, vede spesso negati i propri diritti civili. Anche la vita di Aminatou Haidar assomiglia a quella del suo popolo. Incarcerata per due volte, dal 1987 al 1991 e poi nel 2005. Nonostante la detenzione, i pestaggi, le torture e le minacce non ha mai perso la fiducia nella non violenza. Nel 2009, al ritorno dagli Stati Uniti per ricevere dei premi, dopo aver rifiutato di scrivere <<marocchina>> sotto la nazionalità, gli viene confiscato il passaporto, viene espulsa e portata nelle vicine Canarie. Nell’aeroporto spagnolo iniziò uno sciopero della fame che ha condotto il Marocco a farla rientrare in patria sotto la pressione internazionale.

Le lotte dei sahrawi non sono mai cessate. Secondo alcuni la scintilla, che avrebbe poi scatenato le primavere arabe, sarebbe partita proprio da un campo di protesta nel Sahara occidentale, smantellato nel sangue dalle forze di sicurezza marocchina nel novembre del 2010.

“Il Marocco continua a vietare a Ong, organizzazioni internazionali e giornali di visitare i territori occupati dei Sahrawi in modo da nascondere le violazioni di diritti umani” accusa Aminatou. La missione Onu, Minurso, infatti, a differenza di tutte le altre missioni legate a situazioni di conflitto, non prevede la protezione dei diritti umani, ma solo il rispetto del cessate il fuoco. La decisione dipende dal consiglio di sicurezza dell’Onu ma sono pochi i paesi che si sono mossi attivamente per risolvere la questione. Stati Uniti e Francia, per esempio, hanno appoggiato la posizione marocchina.

Spesso in Europa, quando si parla di migranti, si usa la formula vuota dell’ “aiutiamoli a casa loro”. Seguendo questo principio, a maggior ragione si dovrebbe partire dal rispetto dei diritti umani, che è il primo elemento per garantire la stabilità di un paese. Lo si dovrebbe fare a meno che non si voglia correre il rischio di passare per ipocriti.

di Pierfrancesco Zinilli