Lampedusa: verso il museo della fiducia e del dialogo per il Mediterraneo. Daniela Baroncini

Baroncini

“Nel tempo che i nostri mari erano infestati dai legni barbareschi, risiedeva un eremita nella cappella al cui fianco trovasi il sepolcro di un Marabutto. L’eremita suddetto si accomodava a venerare la croce e la mezzaluna, secondo la diversa religione delle persone che vi approdavano.” 

Lampedusa. Gussone, Naturalista.

La storia di Lampedusa, nel corso dei secoli, è sempre stata associata alla figura di un eremita. É molto probabile che la presenza di questo eremita fosse legata alla necessità di tenere una persona che accendesse di notte dei fuochi sulla costa dell’isola per segnalarne la presenza ai naviganti del Mediterraneo.

È “pianura liquida”, mare che separa e unisce, il Mediterraneo: tocca e avvicina la croce e la mezzaluna, i dialetti e le fedi, le genti e le città distanti tra loro.

E nel cuore del Mediterraneo, Lampedusa é come sospesa tra il Sud e il Nord, sulla rotta tra oriente e occidente, a 35 gradi e 30 primi Nord, 12 gradi e 36 primi Est. È stata “Lopadusa” per Strabonio e Plinio, poi “Lipadusa” per Ludovico Ariosto, che ambientò sull’isola il duello decisivo tra il re saraceno Agramante e il paladino Orlando. Sin dall’antichità, coi fuochi alimentati dall’eremita, con il suo porto naturale, l’isola ha rappresentato un punto di sosta e di approdo per greci, romani, fenici, cartaginesi, arabi, che hanno lasciato tracce del loro passaggio a testimonianza del ruolo di primo piano svolto da Lampedusaa, crocevia di culture e lingue diverse. Se nei secoli le navi vi hanno scaricato spezie, armi e sapere, oggi vi sbarcano soprattutto le speranze di migliaia di persone: l’isola é teatro delle epopee  vissute della moltitudine di migranti che tenta di raggiungere l’Europa. Ai migranti, a tutti quelli che riescono ad approdare e a tutti quelli che drammaticamente giacciono sul fondali del suo mare, Lampedusa ha dedicato la  Porta d’Europa, primo manufatto visibile per chi arriva  dall’Africa, monumento realizzato nel 2008 da Mimmo Paladino. Per storia, vocazione all’accoglienza, per geografiche latitudini e longitudini, Lampedusa perciò non può non essere capitale morale, punto di partenza per una nuova ricostruzione del racconto del nostro mare: “Verso il museo della Fiducia e del Dialogo per il Mediterraneo” è il titolo della mostra ospitata sull’isola e che resterà aperta fino al 3 ottobre di quest’anno.

La mostra é  a metà tra una wunderkammer ( la camera delle meraviglie) e una cassa del tesoro spiaggiata su una riva , contenente tutta la bellezza che la libera circolazione delle idee ha prodotto nei secoli, tutta la ricchezza culturale nata dalle contaminazioni tra Europa e vicino Oriente. Dalle terrecotte delle colonie greche dell’Italia meridionale, che hanno favorito la fusione dei concetti estetici di aree diverse, all’astrolabio che attesta il contributo della scienza araba alla cultura occidentale: nel “castello” che ospita la mostra in corso a Lampedusa, isola storicamente multiculturale, geograficamente terra estrema, sul cui confine si sconfina, ogni oggetto esposto diventa “parola” che si racconta e ci racconta di gloria umana, di vite e destini condivisi, di multiculturalità, di apertura intellettuale, di trame e di relazioni, di identità plurali delle comunità mediterranea. Parla di Fratellanza il dipinto di Matthias Stom: é la fratellanza negata, quella del peccato originale commesso da Caino, che uccidendo suo fratello segna il destino dell’umanità. Parla di Speranza, quella di raggiungere una meta, l’indicatore di Qibla, che mostra instancabile la direzione del luogo santo ai fedeli musulmani. Parla di Confini valicati e di Sicurezza per i naviganti l’antenna radiogoniometrica di Guglielmo Marconi, che getta le basi per il moderno radar. Ma la parola che più risuona tra le pareti delle sale espositive del Castello è “Umanità”.

Umanità derubata, nella Testa di Ade proveniente da Morgantina, prima illecitamente sottratta al patrimonio nazionale e poi recuperata dal Governo Italiano.

Umanità ferita che non si rassegna: il museo del Bardo di Tunisi, colpito da un attacco terroristico, ha messo a disposizione della mostra un viso cartaginese,  sorridente,  in terracotta policroma.  Quel sorriso  é eterno augurio, è gentile accoglienza, quiete dell’esistenza e Fiducia nella capacità della cultura di salvare l’uomo dalle barbarie, dalle violenze e dall’estremismo.

Ultima, ma non meno importante, è l’Umanità assopita dell’Amore dormiente, capolavoro di Caravaggio:  un bambino avvolto in un paio di ali nere, il cui sonno sembra afflitto dalla sofferenza,  rimanda all’immagine del bambino siriano Aylan Kurdi che dorme per sempre sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia. Se l’arte può farci ripensare la solidarietà, il quadro di Caravaggio diventa il manifesto dell’impegno richiesto all’Europa, di quell’Amore che, nella sua declinazione piú universale, ci chiede di uscire dal sonno dell’indifferenza e dell’abitudine al male.

di Daniela Barroccini

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