Ahed Tamimi, simbolo della resistenza palestinese, condannata a 8 mesi di carcere

Sembra una leonessa e più per lo sguardo che non per la chioma. Ha iniziato a fare l’attivista quando, per parlare con qualcuno, aveva bisogno di stendere il collo e guardare in su. Ahed Tamimi lotta da sempre per la liberazione della Palestina, ora è diventata un simbolo della resistenza e di recente è stata condannata da un tribunale israeliano a otto mesi di carcere.

Lo scorso 15 dicembre due soldati israeliani entrano nel cortile antistante la casa di Ahed, a Nabi Saleh, vicino Ramallah, in Cisgiordania e la ragazza inizia a schiaffeggiarli, prenderli a calci fino ad arrivare a schiaffi e pugni. Vicino ad Ahed sua cugina, Nour, 20 anni, che la riprende con il cellulare mentre assesta qualche colpo. Il video viene caricato on line, diventa virale e quattro giorni dopo bussano alla porta della famiglia Tamimi: è la polizia israeliana venuta ad arrestare Ahed. Sembrerebbe che il giorno dell’ “incidente” un parente di Ahed, Mohammad Tamimi, abbia iniziato un coma durato 72 ore, perché colpito da un proiettile di gomma.

La giovane sedicenne è la quarta donna della sua famiglia a finire in manette nell’arco di 4 settimane: come lei hanno subito la stessa sorte anche sua  cugina e sua mamma, Narimam, accusata di utilizzare Facebook per “incitare attacchi terroristici”. La giovane Ahed ha scelto di patteggiare e si è giunti alla condanna a 8 mesi, diversi dei quali già scontati: la ragazza dovrebbe uscire all’inizio dell’estate. Una Ong israeliana che si batte per difendere i diritti dei palestinesi fa notare che in questi tipi di tribunali il 95% dei casi si conclude con una condanna.

Il gesto di Ahed l’ha resa un’eroina della lotta palestinese, mentre il popolo israelitico per mesi ha, da una parte, elogiato i soldati rimasti inermi davanti alla giovane e, dall’altra, ha criticato gli stessi per essersi mostrati tanto deboli. Da quando, lo scorso 6 dicembre, il presidente Usa, Donald Trump, ha deciso di riconoscere come capitale d’Israele la città di Gerusalemme le cose sulla striscia di Gaza e in Cisgiordania si sono complicate ancora di più.

La famiglia Tamimi si batte da anni per difendere il suo paese natale, Nabi Saleh, dall’occupazione israeliana: Ahed e tutti gli altri componenti non sono affatto una nuova conoscenza per le forze israeliane. Le prime foto che ritraggono Ahed durante una manifestazione risalgono al 10 giugno 2006, all’età di soli 5 anni. Il 29 giugno 2012 truppe israeliane impediscono alla famiglia Tamimi di fare ritorno nelle loro case che stanno occupando per estendere l’insediamento Halamish. Il 28 agosto 2015 Ahed indossa una maglia con gatto Silvestro e un paio di jeans, come una qualsiasi coetanea: in quella occasione addenta la mano di un giovane soldato nel tentativo di impedirgli l’arresto di suo fratello. Il gesto le valse il premio Hanzala, in onore del suo coraggio, consegnatole direttamente dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Bassem Tamimi, il capo famiglia e padre di Ahed, è un esponente di spicco dell’al-Fatah, il Partito Autorità Nazionale Palestinese  (Anp), ed è molto vicino al presidente Abu Mazen. Proprio il politico palestinese ha contatto il signor Tamimi dopo aver saputo dell’arresto: “E’ giovane, coraggiosa e determinata, pronta a sfidare l’occupazione”, sarebbe stata la risposta del padre. Ha aggiunto inoltre che la ragazza vorrebbe studiare legge per difendere il proprio Paese.

Poco dopo l’arresto le autorità israeliane hanno provveduto a chiudere l’account Twitter di Ahed: la famiglia della giovane ne ha aperto subito uno nuovo con l’hastag #FreeAhedTamimi. Sul web la ragazza viene definita come “una che vale 1000 uomini”.

Michel Oren, ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, ha accusato la famiglia Tamimi di utilizzare i loro ragazzi per il semplice gusto della provocazione, per essere sempre sotto le luci della ribalta, sulla cresta dell’onda. Condivide la stessa teoria anche l’accusa: l’estate per arrivare, Ahed sta per uscire e staremo a vedere cosa di nuovo succede.

di Irene Tinero

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