Davide Cervia: l’esperto di guerra elettronica che a distanza di 28 anni ha fatto condannare il Ministero della Difesa italiana

E’ il 12 settembre 1990 quando un giovane operaio trentenne viene rapito a Velletri, in provincia di Roma, sulla via di casa. Il suo nome è Davide Cervia, caporeparto in una ditta di componenti elettronici, marito e padre di due figli. Marisa, la moglie, l’indomani denuncia la scomparsa, rilascia ai carabinieri una foto del marito e segnala la targa della loro macchina. Solo diverso tempo dopo Marisa scopre che le ricerche non sono partite prima di quattro giorni dal suo esposto. Da subito gli inquirenti  tentano di chiudere il caso come “allontanamento volontario”. Addirittura suggeriscono alla signora Cervia che possa trattarsi della solita fuga con un’amante. Perché nessuno vuole approfondire la scomparsa di un operaio?

Perché Davide non è un operaio. In pochi sanno che è un ex militare della Marina italiana in congedo da alcuni anni, esperto in guerra elettronica: quando scompare siamo alle porte della prima guerra del Golfo e l’Onu ha da poco imposto il divieto di vendere armi a paesi “ritenuti pericolosi”.A evitare i divieti delle Nazioni Unite ci sono sempre i traffici illeciti, ma chi è in grado di maneggiare certi armamenti? Persone come Cervia diventano quindi fondamentali. Con la sua specializzazione Davide è in grado di intercettare pericoli e allontanarli con un disturbo elettromagnetico o di captare un obiettivo militare sin dall’accensione dei motori.

Nel corso dei tanti anni di indagini la specializzazione del Cervia è sempre stata negata: il Sios, branca della Marina militare, comunica ai carabinieri di Velletri che Cervia era un “addetto alle riparazioni”. A quel punto l’allora ministro dell’interno, Nicola Mancino, è costretto a chiedere maggiori spiegazioni al Sisde (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica): quella di Cervia non è una specializzazione poi così speciale e diventa d’improvviso un elettricista. Eppure il ruolo del militare italiano non doveva essere da poco: gli era stato rilasciato il Nos della Nato, il nulla osta di sicurezza che detengono quanti sono a conoscenza di segreti in grado di mettere in pericolo la sicurezza nazionale.

Marisa non conosce nulla della vita precedente del marito, ma ricorda perfettamente alcuni episodi che precedettero quello che sembra essere stato un rapimento: Davide poco prima richiede il porto d’armi e si giustifica con la moglie per il fatto che vivono isolati in campagna. Nel giugno del ’90 un camioncino giallo imbocca il vialetto di casa, è lo stesso Cervia a parlare con i conducenti e a Marisa dice che si era trattato solo di turisti. La donna ricorda però un volto sconvolto. Senza contare strani movimenti intorno alla loro casa e appostamenti nei dintorni.

All’improvviso, in quello che è stato definito “un caso difficile come Ustica”, emerge un testimone oculare: Mario Cavagnero, vicino dei coniugi Cervia. Nel dicembre del 1990 Mario racconta di aver visto Davide quel pomeriggio: l’ex militare stava per imboccare la strada di casa quando una Golf gli intralcia la strada, cinque uomini scendono, lo prendono mentre l’uomo urla chiedendo aiuto. Mario fu giudicato dissociato e quasi cieco e la sua testimonianza non fu neanche presa in considerazione. Sul verbale dei carabinieri di Velletri fu scritto che Davide stava salutando il suo dirimpettaio. Eppure per qualcuno il signor Mario ha ragione: a confermare la tesi dell’anziano è un autista di linea.

I testimoni però non finiscono qui: a smontare qualsiasi ipotesi di rapimento è Giuseppe Carbone, presunto amico di Davide che dallo stesso fu informato di una “certa mancanza di brio nella proprio vita familiare”. Quello diventa il movente dell’allontanamento di Davide e Carbone il testimone chiave.

Per gli alti gradi militari e molti esponenti politici la tesi del rapimento non regge. Però alcuni compagni di corso di Cervia hanno vissuto esperienze simili: “Era il migliore – racconta nel 2009 un altro ex militare ai microfoni della trasmissione di La7, “Complotti” –  Stavamo vendendo armi a paesi che era pericolosi in quel momento. Anche io ricevetti minacce per fare il ‘lavoro che sapevo’ all’estero. Seppi di altri due colleghi terrorizzati”.

La stampa non si lasciò certo sfuggire un mistero simile: Gianluca Cicinelli è stato uno dei giornalisti che si è occupato maggiormente del caso arrivando alla cosiddetta “pista francese”. Una fonte informò Cicinelli che i carabinieri avevano chiesto ad Air France se Cernia figurasse come passeggero di voli nazionali e internazionali. La risposta fu sì: il 14 gennaio 1991, nel mese in cui scoppiò la prima guerra del Golfo, Davide era su volo in partenza da Parigi, con destinazione Il Cairo. Con lui un accompagnatore. Le autorità francesi si giustificarono dicendo che si trattava di un caso di omonimia, ma si parlava di un militare francese.

Nel 1998 il caso passa nelle mani della Procura di Roma che nel 2000 finisce per chiedere l’archiviazione: Cervia è stato rapito da “ignoti”, ma il troppo tempo trascorso impedisce di trovare i reali responsabili. Il magistrato incaricato delle indagini, Luciano Infelisi, precisò di aver richiesto e ottenuto il nome della persona che accompagnava Davide sul volo francese: tuttavia alle autorità italiane fu impedito di individuare o reperire più informazioni.

Il 25 gennaio 2018 il Tribunale civile di Roma ha condannato il Ministero della Difesa per aver violato il diritto alla verità, spettante a Marisa, Erika e Daniele Cervia che hanno chiesto un risarcimento simbolico di 1 euro, dopo aver rinunciato a quello da 5 milioni. Dopo 28 anni di sofferenze e minacce, anche per la famiglia, è stato accertato che non è stata detta tutta la verità, che è stato impedito loro di ottenere informazioni tempestive che avrebbero potuto cambiare il corso delle cose. La famiglia Cervia promette di voler continuare sulla via del processo.

di Irene Tinero

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