In Iran nessuna pietà per l’ex sposa bambina. Samira è stata impiccata

Otto anni fa aveva ucciso il marito violento con cui fu costretta a sposarsi appena quindicenne. Si tratta della diciottesima donna messa a morte quest’anno.

Samira Sabzian Fard, 30 anni, originaria di Khorramabad, capitale della provincia occidentale di Lorestan e trasferita a Malard non lontano da Teheran, è stata impiccata all’alba e questa volta la pressione della società civile interna e internazionale non è riuscita a salvare dal patibolo la “sposa bambina ribelle”.

Dopo quel matrimonio da bambina, nel 2014 la donna stanca degli abusi, dei maltrattamenti, delle sevizie, delle violenze, ha assassinato l’uomo che era stata costretta a sposare a soli 15 anni.

Alle prime luci del mattino del 20 dicembre 2023, le guardie sono andate a prenderla nella cella di isolamento del carcere di Qezel Hessar a Keraj, dove era stata confinata dal giorno precedente e l’hanno portata al patibolo per l’impiccagione.

La diciottesima donna uccisa quest’anno su un totale di quasi ottocento esecuzioni. Un numero impressionante che si inserisce nel giro di vite messo in atto dal presidente Ebrahim Essebsi e dalla guida suprema, l’ayatollah Khamanei dopo l’ondata di proteste che ha scosso tutto il Paese nell’autunno 2022. Il governo ha voluto intensificare le esecuzioni anche per i delitti comuni, un modo per stringere la morsa sulla popolazione e far leva sul terrore.

Il caso di Samira aveva avuto particolare impatto tanto da spingere le autorità a sospendere l’impiccagione il 13 dicembre. Il suo dramma sintetizza le discriminazioni che gravano sulle spalle femminili. E’ infatti da questo fardello, che va ben oltre il velo obbligatorio, che è nata la ribellione al grido: “Donna, vita, libertà”.

Se la curda Mahsa Amini è morta dopo l’arresto in quanto “malvelata”, Samira è stata impiccata in quanto omicida, poco importa se all’origine del suo gesto ci fosse terrore, disperazione o legittima difesa. Entrambe hanno infranto le regole e i dogmi di un gioco che avrebbero dovuto semplicemente accettare e subire. Però Mahsa e Samira sono state ribelli inconsapevoli.

Per nessuna delle due c’è stata pietà.

Quella di Samira è la tragica testimonianza di un sistema imperniato sull’oppressione delle donne, sin dalla loro infanzia. Il matrimonio, in teoria, è illegale prima della maggiore età ma quest’ultima viene raggiunta a otto anni e nove mesi per le ragazze, per i maschi è invece di 15 anni.

In particolare nelle province più remote, le famiglie povere obbligano le figlie a sposare uomini, in genere più anziani, in cambio di qualche soldo per andare avanti, una casa o anche solo per non doverle mantenere.

In base alle stime dell’Unicef, il 17 per cento delle donne è stata obbligata alle nozze prima dei 18 anni. Varie ONG hanno denunciato un incremento del numero di spose bambine – tra i quattro e i cinque punti percentuali sul totale – a partire dal 2020 a causa della crisi economica. Le “baby-mogli” sono vittime, in genere, di violenze sistematiche da parte del marito.

Esattamente come Samira.

Questa donna quindi, terrorizzata ed esasperata, ha ucciso il marito maltrattatore, con l’aiuto della sorella. Per i giudici però, gli abusi domestici non sono un’attenuante. Solo i parenti del marito defunto avrebbero potuto salvarla dal patibolo dopo la richiesta di perdono. Cosa che però non hanno voluto fare.

Anzi, hanno ulteriormente chiesto una «punizione esemplare».

Così è stato. Prima di essere impiccata, Samira è stata reclusa per dieci anni tra la prigione di massima sicurezza di Evin e Qezel Hessar senza poter ricevere i figli, che ora hanno 10 e 14 anni. Solo la settimana scorsa, in vista dell’esecuzione, le è stato consentito di dire loro addio.

Uno strazio di cui tutti sono al corrente.

Quello di Samira Sabzian Fard è un caso che resta avvolto dal silenzio nella Repubblica islamica, dove i media non hanno dato alcuna attenzione alla vicenda. Le uniche informazioni sulla storia della donna provengono dalle Ong della diaspora iraniana all’estero come Iran Human Rights o Hengaw, che hanno sede in Norvegia, e altri media ritenuti dissidenti da Teheran.

L’associazione Donne Democratiche Iraniane in Italia ha condannato fermamente l’omicidio della donna, e ha chiesto a Papa Francesco, al governo italiano e alla premier Giorgia Meloni di fare altrettanto e condannare questo ennesimo atto di violenza contro le donne iraniane.

«Chiediamo alla comunità internazionale di rompere il silenzio e unirsi al popolo iraniano», scrive l’associazione.

«Il silenzio della comunità internazionale è di fatto una partecipazione a tali crimini».

Stefania Lastoria 

 

Print Friendly, PDF & Email