CHI HA SPUNTATO LA PENNA DI CYRANO?

Abbiamo diverse possibilità nell’utilizzo del nostro linguaggio. La prima, più usata e più scontata, è quella che prevede l’uso lessicale, tradizionale, delle parole e della composizione delle frasi: una sorta di conformismo letterario. Un linguaggio ereditato non solo dal luogo dove viviamo e non solo dai libri e dagli studi che abbiamo fatto, ma, anche, dall’uso e dalle consuetudini che ci vengono tramandate e che assimiliamo quotidianamente. 

Questo tipo di linguaggio subisce, inevitabilmente, anche i riflessi e le mode  del contesto sociale nel quale si esprime. Siamo tutti reduci da anni zeppi di “cioè” “attimino” “misunderstanding”, perché in una società globale le influenze sono anche esterofile, e ci ritroviamo, oggi, in una epoca nella quale, spesso e volentieri, le parole vengono aiutate e sostenute dall’utilizzo di emoticon, punti esclamativi, dita alzate a mo’ di V di vittoria: un disastroso impoverimento dei nostri vocabolari personali.

Ci ritroviamo così a parlare e a leggere per simboli, una regressione che ci riporta ai datati geroglifici.

Immaginiamo l’esperienza di un gucciniano Cyrano vissuta in un messaggio whatsapp:

“Ma quando sono solo con questo 👃 al 🦶che almeno da 🕰️ da sempre mi precede si spegne la mia 😡 e ricordo con 😓 che a me è quasi 🚫 il 🛌di un 🥰”. 

Si dimenticano le parole acquisendo significati solo attraverso le immagini. Perdiamo, inevitabilmente, la poesia.

Nel 1989, un giovane Nanni Moretti, alias Michele Apicella in Palombella Rossa, schiaffeggia una giornalista (quindi una professionista delle parole) urlando: “Le parole sono importanti!!!”

E’ vero, le parole sono importanti, ma le parole sono anche macigni, come amava ricordare un noto psicologo dell’apprendimento e proprio perché importanti e macigni, ricorrono all’obbligo di un utilizzo responsabile, non approssimativo e non superficiale rispetto al pubblico a cui sono rivolte.

Una seconda possibilità di utilizzo del nostro linguaggio è invece quella esercitata da chi, per fantasia, preparazione, curiosità intellettiva, riesce a scoprire nuovi significati rivoluzionando la trasposizione delle frasi, sovvertendo i modi di dire. 

Sono quelli che applicano alla parola la geniale banalità dell’uovo di Colombo, lasciando la platea dei dottorati allibita sulla domanda, molto intima e mai espressa, “perchè non ci ho pensato prima”…

In genere chi riesce in una operazione simile, non coincide mai con i titolati, tali o presunti, della filosofia del linguaggio  o della sintassi. 

Ricorderete lo sketch di Totò nel quale, sostituendo l’ordine delle parole, asseriva che ogni limite ha la sua pazienza. Una frase che apparentemente suscitava l’ilarità di chi si beava della conoscenza della frase esatta. Per intenderci come quelli che oggi, sui social, anziché rimanere nel tema del problema esposto, si ergono a correttori grammaticali degli altri. Una putrida prosopopea.

In realtà la sostituzione dell’ordine dei vocaboli, contiene un significato molto più profondo. Il soggetto, nella frase del principe De Curtis, non è più la pazienza, usata, abusata, a disposizione di chiunque, ma è il limite, un confine, oltre il quale non si permettono ingerenze. Una profonda ma sottile differenza che solo pochi possono percepire proprio perché non abituati a dare peso al linguaggio. Sarà per questo ed altro che sui social oggi i limiti si travalicano con tanta facilità?

E’ quindi necessario riappropriarsi della ricerca delle parole, perché la ricerca richiede tempo, concentrazione e riflessione, elementi, tutti, che considerando la scrittura compulsiva dei social, scongiurano la trasformazione delle parole da importanti e macigni in armi.

Disarmiamoci allora, cercando il termine giusto, pensando a quello che si scrive, riflettendo su chi è il destinatario della nostra comunicazione. Facciamolo per quel po’ di rispetto che dobbiamo a noi e al genere umano con cui conviviamo.

Dopo un po’ di esercizio, riusciremo anche a rifare la punta alla penna del beneamato Cyrano.

Lucia Salfa