La verità rende liberi, ma ti fa incazzare

“Salveremo il mondo prima dell’alba”, lo spettacolo di Carrozzeria Orfeo al Vascello di Roma, racconta la drammatica verità sul condizionamento umano e su come l’umanità sia inconsapevolmente felice di essere condizionata. Racconta, facendoci ridere, di tutte le follie e le contraddizione che stanno distruggendo il mondo fino all’Armageddon  finale. 

Oggi la conoscenza, sulla scena teatrale, diffonde il sentire facendolo apparire per quello che è: banale, superficiale, ipocrita, mettendo a nudo non solo la fragilità, ma anche l’egoismo di una società basata sul consumo e sul profitto.

Gabriele Di Luca con la sua drammaturgia esprime l’esigenza di una analisi critica del modello capitalistico, in tutte le sue forme, anche le più paranoiche. Il tutto condito con una ottima dose di fascino ed entusiasmo nella recitazione di una compagnia, la più affascinante degli ultimi anni, in grado di proporre tre ore di spettacolo reso fruibile dalla leggerezza intellettuale. La regia di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi, non lascia niente al caso. Il meccanismo di espansione della scena, priva della quarta parte , include dentro lo spazio tondo, di una navicella-pagoda giapponese, il pubblico, eliminando il piccolo divario tra le poltrone e il palcoscenico. Due tempi, il primo di due ore e il secondo di un’ora, forse con qualche piccola appendice da eliminare, mette in scena, in modo eccellente, tutto ciò che non siamo e non vorremmo essere. A nulla servono le recriminazioni o le prese di coscienza. La povertà nel mondo è destinata a crescere così come la sudditanza e la prepotenza. Il ricco rimane ricco. Il povero rimane più povero.

“Dentro di te c’è un Dio…” ma è solo una enunciazione, l’umanità decadente priva di etica e morale non riconosce nessun Dio e vive senza la sua presenza. I morti sul lavoro, le guerre, il cambiamento climatico, la violenza sulle donne, visti dalla navicella, in cui sono rinchiusi i protagonisti, sono solo eventi di cui non si sentono responsabili. 

Il prezzo della vita  è nei pochi attimi di felicità che fluttuano intorno a loro, ma che nessuno di loro riesce a cogliere. L’antifemminismo femminista, o, il femminismo antifemminista, è solo un grado della enorme confusione che condiziona la mente di ognuno. Ed ognuno è incapace di uscirne fuori perché non vuole uscirne fuori. Nella quotidianità insensata tutto è funzionale alla autodistruzione inconsapevole e volontariamente sostenuta da grandi motivazioni mediatiche. 

Nessuno si vuole salvare da sé stesso. Il concetto di amore è mercificato alla ennesima potenza, la depravazione diventa normalità, così il linguaggio, corrotto, distruttivo, elimina qualsiasi barriera tra chi ascolta e chi recita. Il pubblico entra in un loop dal quale non può uscire, ma solo ridere, per sentirsi meno ferito, meno colpevole, meno responsabile della autodistruzione del pianeta.

“Il mondo non è sincero, se lo fosse crollerebbe…” dentro questa farsa del quotidiano ognuno vomita la sua merda, nessuno vuole cambiare il mondo, tutti vogliono rimanere avvolti nel loro pannolone pieno di escrementi e piscio. 

Anche quando il più assennato di tutti, il giovane del Bangla Desh prova a dire “voglio essere un uomo giusto, non ricco o potente, ma un umile uomo giusto dentro al mondo…” il mondo ride di lui, riavvolgendo la pellicola del tempo, per riiniziare di nuovo a distruggere. Tutto in funzione di domare le masse che vogliono essere domate, per rimanere nella propria scomoda confort zone.

Non serve chiarire che “Dio è in ciò che fai…” perché la grande menzogna mediatica ha alienato l’umanità a vivere senza nessun Dio.

Bello. Tre ore, forse troppe, di recitazione intensa e spettacolare, dal ritmo calzante, irriverente, estroso, fantasioso, e tanto altro. Tutto messo in scena da una attrice meravigliosa e altrettanti attori superlativi: Alice Giroldini, Sebastiano Bronzato, Sergio Romano, Roberto Serpi, Massimiliano Setti, Ivan Zerbinati.

Ps. Grazie per aver distrutto il luogo comune che i Rom rubano i bambini per vendere gli organi.

Un inchino alla compagnia, alla regia e alla drammaturgia.

Claudio Caldarelli