# metoo: il web contro la violenza sulle donne

Ottobre 2017: in pieno scandalo Weinstein (noto produttore cinematografico tra i più importanti di Hollywood, al centro della bufera scatenata da un’escalation di denunce di violenze e molestie sessuali ai danni di numerose attrici in cambio di ruoli, successo e notorietà), la provocazione di una famosa attrice, Alyssa Milano, che pubblica sul proprio profilo l’hashtag #metoo (anch’io) diventa fenomeno virale, e da il via a una vera e propria rivoluzione culturale. “Se tutte le donne molestate o aggredite sessualmente scriveranno #metoo nei loro status”, spiega l’attrice, “daremo alle persone un’idea della dimensione del problema”. E le donne hanno raccolto il suo invito ad uscire allo scoperto, a rompere il muro del silenzio; star del cinema, personaggi famosi e gente comune: in meno di 24 ore l’hashtag ha avuto quasi mezzo milione di tweet, rivelando una realtà che, seppur sotto gli occhi di tutti, finora era sempre stata ignorata: quella degli abusi, delle violenze, delle molestie sessuali nei confronti delle donne è una realtà dilagante, figlia di una cultura malata che identifica la donna in oggetto sessuale, e autorizza gli uomini a sentirsi in “diritto” di rivolgere loro attenzioni particolari, anche quando non richiesto, anche quando sei un cooperante di una organizzazione umanitaria, e la merce di scambio sono aiuti di prima necessità destinati alle vittime della guerra .

Migliaia di donne hanno finalmente avuto il coraggio di raccontare storie di violenze, abusi, ricatti e ingiustizie subite sul lavoro, in famiglia, mai confessate prima per vergogna, paura, solitudine. Storie di rinunce, come la studentessa universitaria definita dal professore “molto brava, ma se fossi venuta a letto con me, ora saresti già laureata”, di abusi taciuti, di umiliazioni subite; realtà che ogni donna conosce bene, battaglie che ognuna di noi, nel proprio piccolo, deve portare avanti quotidianamente. Il movimento #metoo ha ricevuto importanti riconoscimenti, è stato eletto “persona dell’anno” dal Time, che ha reso omaggio alle donne che “hanno rotto il silenzio”, premiando la “rapidità con cui la denuncia si è allargata, assumendo i connotati di un movimento sociale a tutti gli effetti”. La risonanza di questo movimento è stata tale provocare anche la risposta del mondo maschile, che ha creato l’hashtag #ihave (“l’ho fatto”), una sorta di “mea culpa” attraverso cui confessare i propri peccati, e (forse) chiedere scusa. Se, da un lato, l’enorme diffusione del movimento ha posto l’attenzione su un problema così grave, dall’altro ha suscitato molte polemiche; c’è da chiedersi come mai, ancora oggi, migliaia di donne continuino a subire in silenzio queste forme di soprusi.

Come mai, ancora oggi, le donne vivano con vergogna e senso di colpa l’essere vittime di violenze. Come mai, ancora oggi, le donne accettino come “normale” o, peggio, “necessario” il dover scendere a compromessi per emergere, e come mai, infine, le donne ancora oggi accettino di rimanere in silenzio anziché ribellarsi con forza, rimettendo a un semplice hashtag la loro protesta. Finché le donne continueranno a subire in silenzio anziché lottare per difendere se stesse e i propri diritti ribellandosi ad ogni forma di sopruso e discriminazione, e a scendere a compromessi per ottenere ciò che spetterebbe loro di diritto anziché indignarsi di fronte a tali ricatti, sarà impossibile attuare una vera rivoluzione culturale, poiché il rispetto degli altri si costruisce sulle solide basi di un incondizionato rispetto per noi stessi, da difendere a qualunque costo e a qualsiasi prezzo

di Leandra Gallinella