Il secolo mancato ad Hammamet

Una cosa va detta subito e con chiarezza: Hammamet, il film di Gianni Amelio sul declino e la morte di Bettino Craxi in Tunisia, è un film che va senz’altro visto per il suo valore cinematografico. E questo indipendentemente dalla prova attoriale di Pierfrancesco Favino, i cui tratti somatici nel film non riusciamo più neanche a riconoscere, svenendo essi totalmente in quelli del controverso leader socialista. Ciò non toglie che, allo stesso tempo, il film sia un’occasione mancata. Anzi: un secolo mancato. Non fermarsi alla superficie di un dramma personale, della mera corruzione partitocratica e del rancoroso disprezzo popolare, espresso dal fatidico lancio di monetine e insulti contro Craxi, il 30 aprile 1993, all’uscita dall’hotel romano Raphael, dietro Piazza Navona, di proprietà della sua famiglia. Si poteva e si doveva, invece, scendere nel sottosuolo diun’epoca che segna il declino della politica e della democrazia in tutto il mondo occidentale.

Sia altrettanto chiaro: non un’occasione mancata da Gianni Amelio ma da tutta la cultura e soprattutto dal sistema cinema italiano, dai suoi spetti artistici fino a quelli economico-produttivi. Non si capisce perché a Paolo Sorrentino sia stato concesso di fare un due film su Silvio Berlusconi (Loro 1-Loro 2, del 2018),e non sia stata data la stessa possibilità con Craxi, personaggio di sicuro maggior spessore politico-culturale e senza il quale sul primo si sarebbe potuto fare soltanto una telenovela. Si dice, però, che si sarà presto fiction di Rai Uno su Craxi. Non è la stessa cosa. Solo il cinema – quale forma d’arte e sintesi poetico-esistenziale – può far scendere la coscienza collettiva nella profondità anche inconscia della storia, ponendola di fronte al suo senso abissale. La televisione – rispondendo unicamente alla dittatura dello share, ossia dello smercio al dettaglio dei prodotto pubblicizzati – non può strutturalmente conseguire un tale esito. Questo anche con le migliore intenzione, ossia quando non si tratti invece di deformare, appiattire ideologicamente fatti e persone, come già è ampiamente avvenuto.

L’unica scena significativa, densa di possibilità di sviluppo per contenuto e forma squisitamente cinematografica, è quella della carcassa di un carrarmato inglese nel deserto. Quella carcassa rappresenta non  soltanto Craxi, ma l’intera scana storica, di valori e ideali sociali che lo ha espresso. Una pura oasi-miraggio tra le dune di sabbia del film.  La tragedia, il crollo di Craxi ha coinciso con del Muro di Berlino, di un intero assetto epocale, continentale e mondiale. La tragedia aveva già travolto Moro e Berlinguer nel loro tentativo di trovare l’ultima possibilità politica di un secolo che già stava inesorabilmente uscendo di scena, senza che né loro né il leader socialista se rendessero conto. La stessa tempesta giudiziaria, configuratasi nell’inchiesta Mani Pulite, da dove scaturisce, come è stata possibile da parte di una magistratura che per i quasi quarant’anni precedenti aveva coperto e insabbiato tutte le nefandezze – non solo corruttive  –, incluse quelle socialiste di un’intera classe politica nazionale. Ricordiamo che la cruciale Procura della Repubblica del Tribunale di Roma era popolarmente denominata Porto delle Nebbie.  Questo senso il film non lo restituisce alla nostra coscienza collettiva. Soprattutto a quella delle generazioni di oggi e di domani. Vediamo all’inizio una ricostruzione del celebre congresso socialista del 1989 a Milano, con le scenografie dell’architetto Filippo Panseca, e profusione di garofani. In tutto il film, però, la parola ‘socialismo’ non è mai pronunciata. E credo si possa proprio affermare che ragazzi e ragazze di oggi – figuriamoci quelle di domani – che il garofano fosse simbolo del Partito Socialista non lo sappiano e non lo sapranno. Eppure, insieme al sole, era il simbolo dell’avvenire. Senza lo sfondo mancato del secolo anche scene, come quella dell’incontro in un albergo tunisino di Craxi con la sua storica amante (Ania Pieroni) perde la struggente aura drammatica che poteva e doveva simbolicamente, esistenzialmente assumere. Il tramonto di un amore, di una passione,  riassunta nella parola ‘socialismo’ che è stata quella che più di ogni altra ha caratterizzato il secolo appena eclissato.