Sani!…tra parentesi

Per rompere le catene della schiavitù del consumismo, dello spreco, delle cose inutili, che appesantiscono la vita è maggiormente il pianeta. Salus! Per essere consapevoli che il mondo non ci appartiene, per questo dovremmo averne cura. Curare il mondo per curare noi stessi, oltre ogni finzione imposta dal sistema che ci vieta l’esistenza, per poi propinarci una quotidianità fatta di banalità, e ipocrisia. Marco Paolini, sul palcoscenico del Quirino di Roma, accompagnato da un immenso musicista “cantattore” ci racconta gli ultimi 50 anni con la leggerezza “calviniana” e ci invita a riflettere sulla esistenza partendo dal saluto propiziatorio: sani! derivato dal latino salus.

Un modo onesto, puro di sentirsi parte attiva della vita che ci viene negata, rubata, imbrogliandoci tutti i giorni con eccessive e inutili vanità. Il senso della impotenza, difronte al potere che si autoassolve e non paga mai per i suoi soprusi-errori, ci viene ricordato dalle parole di Monguzzi che cita Sergio Endrigo. Sulla scena un castello di carta, carte da gioco, impilate una sopra l’altra per ricordarci quanto siamo precari, e quanto sono precarie le condizioni di vita. Siamo naufraghi su una zattera che galleggia e vaga su un mare di immondizia e melma. Un mare che non ci porta in nessun luogo, né tantomeno ci traghetta in un mondo reale. Tutto è precario. Effimero. Inesistente proprio perché esiste in questo modo surreale, dove noi siamo solo comparse senza diritto. Una cavalcata che ripercorre, sul filo di esperienze personali, la storia recente. La fine dell’illusione del welfare state, con tutto ciò che implica: accesso alla cultura, fruizione dei beni artistici materiali e immateriali, salute e sopravvivenza garantite (dalla culla alla tomba) anche per le fasce basse della società, la fine della idea della “crescita” illimitata tipica del mondo occidentale ed anche fallimento del tentativo di riforma di quel sistema alternativo rappresentato dall’Unione Sovietica e la cui implosione deve ancora manifestare tutti i suoi effetti (vedi Ucraina), la pandemia.

Paolini ci conduce, alla sua maniera simpatica, ironica, spesso amara, alla consapevolezza della fragilità delle umane costruzioni la cui esistenza dipende a volte da decisioni casuali (Petrov), a misurare le nostre reali dimensioni, a non pensarci onnipotenti. Il lungo monologo, da non perdere a nostro avviso, si svolge all’ombra di un enorme castello di carte: una costruzione che si regge su un fragilissimo equilibrio, perfetta metafora del mondo che viviamo.

Ed ecco allora il lampo di genio dell’attore, del capocomico, del partigiano che resiste sul palco, narrando ciò che ci viene nascosto. Paolini ci fa sentire protagonisti attivi del suo racconto, restituendoci la dignità di spettatori, e il diritto di viverla da dentro, l’esperienza di vita nuova, non più come elementi passivi. Ci mostra tutta l’inutilità della grandezza di super attori, che poi tanto super non sono, se non nel loro essere “uomo senza qualità” così bene descritti da Musil. A tutto c’è un limite, quando il limite si supera è necessaria la purga per ricondurre tutti alle proprie origini, con umiltà e semplicità. La guerra nucleare che diventa la guerra climatica, estensione di quanto accade oggi. Tutto ci viene propinato per farci preoccupare di eventi surreali, così da non pensare alla vera realtà che ci sta uccidendo giorno dopo giorno. Le frontiere sbarrate, il filo spinato, le porte chiuse. Nessuno risponde più alle richieste di aiuto. Nessuno più accoglie. Tutto accade. Tutto avviene con il consenso passivo-attivo che ci fa essere solo semplici servi di una società basata sul profitto e sulla disumanizzazione dei rapporti. Tutto avviene cantando che andrà tutto bene.

I grandi della terra distruggono il mondo con il nostro plauso. Allora è meglio tornare alla incomprensione di Gaudì, che nella sua follia aveva percepito che la salvezza di ognuno è dentro ognuno. Che la bellezza del reale è in ciò che crediamo surreale. Il nostro risveglio passa dal sentirsi portatori di un diritto che si ottiene anche acquistando un biglietto per il teatro, ove poter assistere al racconto della epoca, che è poi la nostra vita.

di Claudio Caldarelli e Corrado Venti