Mutilazioni genitali femminili: una barbarie senza fine
Secondo Amref (la più grande organizzazione africana che si occupa di salute in Africa) sono 200 milioni le donne e le bambine nel mondo che ancora vengono sottoposte al taglio del clitoride. Tre milioni le minori a rischio ogni anno. In Europa 600.000 donne e ragazze hanno subito le mutilazioni genitali femminili, mentre in Italia sono circa 87.000 donne di cui 7.600 minorenni, uno dei dati più elevati di tutta l’Europa.
La cantante Fiorella Mannoia ha portato avanti una sua battaglia fotografica documentando questa barbarie attraverso il suo viaggio “nei villaggi remoti” e nelle scuole rifugio del Kenya che accolgono le ragazze “non tagliate”, ossia le giovani donne scampate alle mutilazioni genitali femminili. Un viaggio il suo, fatto due anni fa proprio con Amref di cui la cantante è stata testimone e narratrice in modo inedito attraverso una serie di scatti fotografici che sono diventati poi anche una mostra virtuale.
La versione fisica, allestita a Milano, è stata presentata il 29 novembre alla Fondazione Feltrinelli. “Attraverso la mia passione per la fotografia ho cercato di cogliere gli sguardi di un’Africa che prova a voltare pagina – continua Fiorella Mannoia – e non posso dimenticare i visi, pieni di gratitudine, delle ragazze che sono scampate, da questa tradizione tremenda e barbara che ancora si perpetra a tante latitudini. Tante donne e piccole donne fuggite e accolte da chi lotta contro questa atroce tradizione”.
La mostra fotografica ha avuto il compito di sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica sul problema globale delle mutilazioni genitali femminili, terribile violazione dei diritti delle donne e proprio per questo tenutasi a pochi giorni dalla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che ricorre il 25 novembre.
Ci dice ancora l’artista: “Ho visto uomini femministi in Kenya combattere contro le mutilazioni genitali femminili e la loro collaborazione mi ha colpita, sono molti quelli che girano i villaggi per parlarne. Certo se ci soffermiamo sui numeri e i dati dell’Amref, si comprende quanto il cambiamento richieda tempo, a maggior ragione perché sono pratiche millenarie e quindi non si può pensare di risolvere il problema in un battito di ciglia. Ma ancora più sbagliato è pensare da occidentale di andare in Africa e spiegare loro come si fa. Al contrario – avverte la cantante che di Amref è testimonial di lungo corso – bisogna inserirsi in punta di piedi ed è per questo che “sto con Amref”: perché l’organizzazione umanitaria che da vent’anni si occupa di prevenzione ed empowerment locale lavora con l’Africa, non per l’Africa, non forma per poi andare via, resta con la popolazione”. Quello che serve, è dunque cambiare la mentalità dei capi villaggio, magari facendo leva, se non si riesce sul diritto almeno sulla convenienza: il cambiamento può essere innescato se si fa capire che una ragazza “non tagliata”, dunque libera dal vincolo di una precocissima vita matrimoniale, sana, istruita e occupabile, può diventare una risorsa per tutta la comunità.
Simbolo di questo impegno è la giovane masai Nice Leng’ete, attivista keniota per i diritti umani e ambasciatrice nel mondo di Amref. Per il Time (2018) è stata una delle 100 donne più influenti al mondo avendo salvato più di 20mila bambine dalle mutilazioni genitali e dai matrimoni forzati da Kenya e Tanzania. In fondazione Feltrinelli ha raccontato il suo impegno che è tutto raccolto nel libro autobiografico ‘Sangue’ (Piemme). “È calzante che mi abbiano dato il nome di un albero, perché fu proprio un albero a salvarmi quando fuggii dalle mutilazioni genitali – si legge nelle primissime pagine. Se quell’albero non mi avesse offerto riparo, la mia famiglia mi avrebbe asportato il clitoride. Avrei rischiato di morire, ma se anche fossi sopravvissuta gran parte di me sarebbe morta comunque. Ero appena una bambina, ma dopo il taglio sarei stata considerata una donna adulta e mi avrebbero data in moglie a un uomo più vecchio. Avrei dovuto rinunciare alla scuola. Mi sarei sfiancata di lavoro occupandomi di mio marito e dei bambini. Invece, grazie a quell’albero, ho ramificato in tutt’altra direzione. Fu quell’albero a darmi la vita che ho oggi, una vita che mio padre non avrebbe mai potuto immaginare quando, tenendomi in braccio, mi chiamò Nice”.
di Stefania Lastoria