Roberto Mancini: il poliziotto che morì nella guerra ai rifiuti

Roberto Mancini ha indagato per una vita, per trent’anni, sulla Terra dei fuochi, il commercio dei rifiuti tra clan mafiosi e aziende, sulle numerose discariche abusive in tutta Italia e non solo: il 30 aprile 2014 è morto a causa di un cancro.

Era il sostituto commissario della polizia di Roma: entra sotto le armi nel 1980 e alcuni anni più tardi, nel 1986, chiede di essere spostato all’Anticamorra della Criminalpol. Inizia così ad indagare sullo smaltimento illegale tra Lazio e Campania, inalando ad ogni sopralluogo scorie tossiche e stando a contatto con rifiuti radioattivi. Tra il 1998 e il 2001 diventa anche consulente alla Camera nella commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti.

Nel 1996 redige la prima informativa sul traffico illegali in Campania che presenta alla Dda di Napoli: è stato chiamato a testimoniare nel processo contro i “broker dei rifiuti” solo nel 2011. “Perché l’informativa è stata presa in considerazione così tardi? – chiese Mancini – si sarebbe potuta evitare Gomorra”.

In quegli anni Roberto indagava sul clan dei Casalesi e l’eco mafia campana: aveva scoperto la rete di rapporti tra “lo stakeholder per eccellenza”, il mediatore tra aziende e clan, Cipriano Chianese e il boss Francesco Bidognetti. Aveva esteso le sue indagini su Anna Mazza, “la vedova della camorra”, la donna che prese sulle spalle il clan Moccia. Era stato decisivo nell’arresto dei fratelli Mariano, noto clan dei Quartieri Spagnoli di Napoli.

Quando nel 2002 gli viene diagnostico il linfoma di Hodgkin il Ministero delle Finanze decide che si tratta di una “malattia di servizio”. L’indennizzo riconosciuto a Roberto è di 5.000 euro. La famiglia Mancini chiese anche un risarcimento alla commissione parlamentare per l’attività di consulente. Il 13 luglio 2013 la Camera comunica: “Per il periodo dal 16 aprile 1998 al 28 maggio 2001 Roberto Mancini è stato inquadrato presso l’ispettorato della Polizia mantenendo un rapporto di collaborazione con la Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti senza alcun titolo oneroso”. Ovvero la commissione non riconobbe il rapporto lavorativo e quindi non doveva alcun risarcimento. Non solo, aggiunsero che la Polizia avrebbe dovuto informare meglio Mancini in merito ai rischi che quell’incarico comportava.

Roberto, che all’epoca dei fatti era in attesa di trapianto di midollo osseo, rispose che avrebbe continuato a lottare, ma questa volta contro lo Stato che non gli aveva permesso di tutelarsi. Uno Stato ingrato fino alla fine, verrebbe da aggiungere.

di Irene Tinero

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