Lavorare per vivere, morire per lavorare.

Articolo numero 4 della Costituzione Italiana: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. A tutti. Ma a tutti chi? Alle centinaia di disoccupati che oltre al lavoro hanno perso anche speranza e dignità?… ai cervelli costretti ad abbandonare famiglie e luoghi conosciuti ed emigrare all’estero per vedere riconosciute le proprie capacità?… ai fortunati che un lavoro ce l’hanno, e poiché “oggigiorno avere un lavoro è già una fortuna” poco male se è mal retribuito, se non ti pagano gli straordinari, se le ferie non le fai tutte e nemmeno ti vengono pagate, se trascorrerai un’intera vita professionale di contratti a tempo determinato, sostituzione maternità, contratti a progetto. Perché avere un lavoro, oggi, è già una fortuna. E se un lavoro non ce l’hai, se vivi in una realtà che poco ha da offrire, magari sei una donna in una società in cui la parità dei diritti è sancita dalla Costituzione stessa, ma spesso nella realtà una mera utopia, ti arrangi e accetti qualsiasi cosa pur di portare a casa la speranza di un futuro migliore o, almeno, di una giornata migliore. Così diventi facilmente preda di sfruttatori, speculatori, criminalità organizzata, che della disperazione hanno fatto un business. “Caporali”, la cui attività principale consiste nel reclutare manodopera a basso costo, lavoratori a nero da impiegare come braccianti agricoli. Moderni schiavi costretti a un lavoro senza alcuna garanzia, senza alcuna tutela, senza che vengano loro riconosciuti almeno i diritti fondamentali, come la sicurezza sul luogo di lavoro, il diritto alla malattia, un salario adeguato. Salario già di per se notevolmente inferiore a quello previsto, e di cui una percentuale destinata al “Caporale”, o sfruttatore. Maria Incoronata Ramella aveva 25 anni, e si era sposata da poco, mentre Incoronata Sollazzo di anni ne aveva 36, anche lei sposata, e madre di due figli. Entrambe di Carapelle, comune in provincia di Foggia, e accomunate da uno stesso destino, quel 24 Aprile a Bisceglie (Bari) erano salite sul furgone Fiat Ducato che le avrebbe condotte presso l’azienda conserviera dove da quattro giorni avevano trovato lavoro. Un lavoro sporco, malpagato, ma pur sempre un lavoro, la possibilità di provvedere ai bisogni di due figli, di mettere qualcosa in più sulla tavola. Non potevano certo immaginare che il loro quarto giorno di lavoro sarebbe stato anche l’ultimo. Stipate in diciannove all’interno di un mezzo omologato per dieci non hanno forse nemmeno avuto il tempo di capire cosa stesse accadendo; l’esplosione di una gomma, il furgone con un carico doppio rispetto al massimo consentito che esce fuori strada, e per le due giovani non c’è nulla da fare. Rimangono ferite tutte le altre passeggere e l’autista, una donna di trent’anni, tutte con prognosi dai dieci ai venti giorni. Sembra una storia d’altri tempi, di schiavi neri costretti nei campi di cotone. Siamo invece nel 1998; neache un ventennio è passato da allora, e il dramma dello sfruttamento da parte di uomini senza scrupoli è una realtà sempre più attuale, che continua a colpire le classi più deboli e disagiate, siano essi immigrati in cerca di un riscatto e di un futuro o donne senza alcuna alternativa, tutti figli di un Dio minore.

Di Leandra Gallinella

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