Quel che resta di Maria Grazia Cutuli

“Un deposito di gas nervino sulla base di Osama”. È questo il titolo dell’ultimo articolo di Maria Grazia Cutuli. Un pezzo mandato al Corriere della sera e partito dal lontano Afghanistan, dove Maria Grazia era finita inseguendo i sue due sogni: scrivere e parlare di medio oriente. Era un reportage importantissimo e parlava di una base abbandonata dai terroristi di Al Qaeda.

È il 2001, l’undici settembre è passato da poco quando la giornalista viene inviata a Gerusalemme. La sua storia però parte ancora da più lontano. Inizia dalla laurea in Filosofia all’Università di Catania e dalle collaborazioni con La Sicilia, dove scriveva di teatro, e nell’emittente locale Telecolor. Poi la chiamata del nord, l’occasione della vita: un impiego alla Mondadori, nella rivista Centocose e poi successivamente a Epoca. È per questa testata che Maria Grazia inizia a girare il mondo e a raccontare le storie di quella gente lontana, dimenticata, ultima. Dalla Bosnia al Congo, dalla Sierra Leone alla Cambogia. Terre e persone che rimangono impresse nell’anima, così quando il settimanale chiude, lei continua a viaggiare, stavolta da volontaria per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, in Ruanda.

Nel 1997 torna a scrivere, con il Corriere della Sera, redazione Esteri. È il 13 settembre 2001 quando viene inviata in Afghanistan. Si muove verso Islamabad, in Pakistan, per poi rientrare in terra afghana. Nei pressi di Sarobi, lungo la via che porta a Kabul, arriva l’appuntamento con il destino. Il gruppo con cui Maria Grazia Cutuli si muoveva viene fermato e assassinato. Insieme a lei muoiono Julio Fuentes, de El Mundo, Harry Burton, reporter australiano della Reuters, e il loro operatore Azizullah Haidari.

Gli assassini furono immediatamente individuati e condannati alla pena di morte, nonostante dall’Italia i familiari di Maria Grazia si opposero all’esecuzione: “Noi avremmo chiesto la clemenza, siamo contro la pena di morte e qualsiasi forma di violenza è sbagliata”. È notizia degli ultimi giorni intanto la richiesta della pm Nadia Plastina di 30 anni per i due afgani che hanno collaborato all’attentato. “Sedici anni dai fatti vuol dire che il processo è difficile e sempre meno comprensibile. Ma lo stato italiano ha sin da subito avuto l’intenzione di fare chiarezza e individuare i responsabili”.

Di Maria Grazia Cutuli oggi non restano solo i premi, le vie e le fondazioni a lei intitolati. Non resta nemmeno soltanto il ricordo. Dal 2011 è aperta una scuola nel distretto di Injil, ad Herat, in Afghanistan, con biblioteca, servizi di didattica, orto e frutteto, per lo sviluppo e la formazione dei ragazzi del villaggio. La struttura è stata finanziata dalla Fondazione Cutuli. E porta il nome di Maria Grazia.

di Lamberto Rinaldi

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