Fuoco amico

Di solito, sarebbe compito dell’opposizione mettere in crisi un governo, ma da noi i governi cadono – assai più spesso – vittime del “fuoco amico”.

È un’usanza ormai tradizionale nella cosiddetta seconda repubblica.

Eppure, chi è al governo avrebbe molto da fare: la scuola, l’economia, il lavoro, la sicurezza, i rapporti con l’Europa e con il mondo… per non parlare della sanità, in un momentaccio come questo. Un lavorone che non dovrebbe lasciarti il tempo di brigare e intrallazzare contro il governo di cui fai parte e sostieni. Al contrario, l’opposizione è una sorta di sinecura: che cosa mai avrebbe da fare, se non seminare zizzania? Il buon senso vorrebbe che almeno le si lasciasse l’esclusiva di mettere in crisi il governo: di tempo ne ha!

Già il primo governo Berlusconi (siamo nel 1994: nel secolo scorso, nel passato millennio) non cadde per mano delle forze di sinistra, ma perché l’alleato Bossi decise di sfilarsi dalla maggioranza. Salvo poi a tornare pappa e ciccia con Forza Italia per tutti gli anni, le elezioni ed i governi successivi. E già!

Il centro destra chiamò spregiativamente “ribaltone” il cambiamento di maggioranza che ne seguì, come se fosse stato un atto sleale da parte dell’opposizione. Invece no: era il frutto del “fuoco amico” dell’alleato leghista.

Ma l’abitudine di sollevare l’opposizione dalla fatica di opporsi – che altruismo! – continuò con coerenza degna di miglior causa. Toccò al governo Prodi cadere nel 1999, per effetto di manovre tutte interne alla maggioranza, per essere seguito dal governo D’Alema, egualmente sostenuto dal medesimo schieramento di centro sinistra. Ma va?!

Ma proprio con D’Alema il sistema raggiunse la sua apoteosi.

Infatti, il suo governo non fu semplicemente abbattuto dal fuoco amico: si suicidò addirittura. C’erano state le elezioni regionali, perse dalla coalizione di maggioranza. Ovviamente, quella parlamentare non era cambiata di una virgola, ma D’Alema si dimise per “sensibilità politica”. Quelle finesse!

Neanche a dirlo, il governo successivo aveva la stessa maggioranza parlamentare, ma un premier diverso. Perciò nessuno credette a quella crisi di sensibilità: tutti compresero che si trattava di una volgare, preordinata, staffetta.

Siamo nel frattempo entrati nel nuovo millennio, ma senza smarrire certe buone abitudini. Infatti, nel 2005 cadde anche il nuovo governo Berlusconi, messo in crisi dal fuoco amico. Ma per fortuna cadde in piedi: fu sostituito da un altro governo Berlusconi, e con gli stessi identici alleati. Quando si dice la coerenza!

Nel 2008 toccò di nuovo a Prodi di essere impallinato da un alleato del tutto minoritario, l’UDEUR di Mastella. Cadde e non si rialzò più, ma fu sostituito da Berlusconi con una nuova maggioranza. Vatti a fidare degli amici!

Nel 2011 anche quest’ultimo governo cadde per lo sfaldamento della maggioranza che lo sosteneva, aprendo la strada al governo “tecnico” di Monti, sostenuto da una maggioranza del tutto trasversale, da destra a sinistra. Ancora una volta, l’opposizione si era avvalsa dell’aiuto – prezioso ed indispensabile – della compagine di governo.

Nessuno stupore, quindi, che Renzi abbia dato lo sgambetto a Letta, pur essendo segretario dello stesso partito che – ufficialmente – lo aveva designato e lo sosteneva. Era semplicemente in linea con un’ininterrotta tradizione cui voleva, evidentemente, portare un suo qualificato e originale contributo.

Ed allora, perché non mettere in crisi anche l’attuale governo, alla cui nascita lo stesso Renzi aveva dato la spinta iniziale? Avrà, forse, pensato altruisticamente di dover dare una mano a un’opposizione così poco incisiva, cui mancava il coraggio di una spallata decisiva in un momento così grave e critico.

D’altronde, anche il governo precedente era caduto inspiegabilmente, per una strana mossa di Salvini, che aveva presentato una mozione di sfiducia contro il governo di cui era ministro dell’interno e vice premier. Una mozione così demenziale, che lui stesso la ritirò durante la discussione al senato: forse se ne vergognava, ma ormai il governo non stava più in piedi.

La crisi in atto in questi giorni ha una genesi altrettanto poco comprensibile. Renzi ha accusato di inefficienza e immobilismo il governo che ha fatto nascere ed ha finora sostenuto, partecipandovi con due ministre e un sottosegretario: come confessare che lui, le “sue ministre” e il sottosegretario non ne capiscono niente, di politica.

Se questa è un po’ la cronistoria dell’italico vezzo del fuoco amico, resta sospesa una domanda inevitabile: ma perché? Qual è il vantaggio di far cadere il proprio governo, di… spararsi sui piedi e, in definitiva, di rinunciare alla battaglia politica più impegnativa e più bella: quella di governare del paese?

Confesso di non avere una risposta e, forse, i motivi sono più d’uno, diversi nelle diverse circostanze.

Ma credo che di una cosa possiamo essere tutti sicuri: quei motivi non sono certo dettati dalla lungimiranza né dall’onestà.

di Cesare Pirozzi