Revocato dopo 50 anni l’embargo armi al Vietnam

Barbara

La notizia giunge dai Presidenti Obama e Tran Dai Quang, ma c’è già chi ipotizza un tornaconto espansionistico

Sembrava un orizzonte di pace troppo lontano, eppure il 23 maggio scorso l’attuale Presidente degli Stati Uniti d’America ha confermato la revoca dell’embargo armi al Vietnam, a cui il paese era sottoposto fin dal 1975. I due, da allora, riversavano in un clima di rapporti diplomatici gelidi, che ora finalmente potrà disciogliersi e normalizzarsi, come dichiarato dai Presidenti Barack Obama e Tran Dai Quang durante la conferenza stampa congiunta ad Hanoi. Un avvenimento storico, quindi, che traccia una linea chiara ed apparentemente ben definita nel panorama geopolitico internazionale, abbandonando le reciproche tensioni militari, ma al contempo una scelta che non ha mancato di suscitare sospetti riguardo un ipotetico tornaconto statunitense. La mossa degli Stati Uniti infatti, comunemente considerati potenza guerrafondaia e dall’approccio strategico, non è passata inosservata tanto più se all’ombra del colosso economico cinese. Obama, ovviamente, ha più volte screditato questa teoria, sostenendo che l’azione diplomatica nei confronti del Vietnam trae origine dalla fine del 2014, con l’autorizzazione parziale dell’embargo, a consolidare inoltre le iniziative del 1994 e 1995, con cui si cercava di semplificare i rapporti tra i due paesi. A destare ulteriori polemiche, poi, anche il tanto dibattuto Nobel Per la Pace attribuito ad Obama nel 2009, un titolo che secondo molti avrebbe dovuto confermare in un’occasione unica come questa, chiedendo scusa delle scelte belliche intraprese in passato. Una posizione che comunque va contestualizzata. Negli ultimi giorni il valore della parola dell’attuale Presidente degli Stati Uniti è stato paragonato a quello del Pontefice, il quale più volte ed in quanto rappresentante di un’istituzione religiosa, ha esteso le scuse della Santa Sede  alle vittime della condotta ecclesiastica nei secoli. La situazione, però, è un po’ diversa: Obama avrebbe certo potuto chiedere scusa dell’errore storico compiuto a suo tempo dagli Stati Uniti, il che forse avrebbe compromesso la facciata granitica delle scelte americane. Ma la verità è che rispetto al Vaticano, Obama rappresenta un paese democratico, multietnico e sfaccettato, che deve tutelare una pluralità d’opinione e d’interessi. O forse un integro nazionalismo, visto le dichiarazioni espresse su Hiroshima, con cui Obama ha sostenuto le scelte di Truman. Obama, assimilando la sua condotta a quella del Papa, avrebbe perciò dovuto inglobare con la sua parola le voci di una popolazione che si trova in accordo e disaccordo su determinate questioni, risultando così in una posizione ambigua per molti cittadini americani. La parola del Pontefice, invece, è un’espressione omologante di un culto che deve mantenersi compatto a livello dogmatico. Paragonare Stato e Chiesa è un’asserzione molto fragile ed un paragone che calza poco in un tale contesto, pur se entrambi hanno spesso palesato orizzonti geopolitici comuni, come nel caso della Cina, un baluardo orientale che preoccupa l’espansione religiosa del mondo cristiano. Secondo alcuni infatti, anche il progetto di Obama è molto chiaro: sviluppare il più possibile l’intesa con Hanoi, in modo da arginare l’espansionismo della Cina ed entrare nella base navale di Cam Ranh.

di Barbara Polidori

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