Sulla vicenda dei militari vittime della Sindrome Dei Balcani
Sunto e riflessioni, di morti assurde
Pochi giorni fa, la corte d’Appello di Roma, ha confermato la sentenza di primo grado, che condannava il Ministero della Difesa Italiana, per non aver protetto adeguatamente un suo militare, il cagliaritano Salvatore Vacca, esposto pericolosamente all’uranio impoverito (Depleted Uranium), durante il suo servizio in Bosnia.
La corte romana, con la sua sentenza ha ribadito quanto sancito dal precedente processo di primo grado, ovvero che la morte per leucemia, a soli 23 anni, del caporal maggiore del nostro esercito, è strettamente legata alla presenza di uranio impoverito, nei proiettili usati in quel conflitto.
L’uranio impoverito è una sostanza di scarto, nel processo di arricchimento dell’uranio (11 kg residui, per ogni kg di uranio arricchito), la cui radioattività è piuttosto blanda, ma la cui tossicità chimica è elevata. Proprio per la sua relativa sovrabbondanza, è stata a lungo oggetto di studi, per poterlo smaltire, impiegandolo in modi ritenuti sicuri. Per via di determinate sue caratteristiche fisiche (per la sua duttilità e per il suo elevato peso specifico), è utilizzato anche per l’industria aerospaziale, nella tecnologia dei pozzi petroliferi e in quella sportiva (dalle frecce per il tiro con l’arco, alle mazze da golf, alle derive degli Yacht da competizione). Non solo, è usato anche in campo medico per le schermature da radiazioni.
Nell’industria bellica, l’essere scarto di produzione lo ha reso una soluzione alternativa ed economica, al più costoso tungsteno monocristallino, poiché in determinate leghe raggiunge una resistenza pari a quella dell’acciaio temperato e ciò lo rende utile soprattutto per costruire proiettili in grado di perforare le corazzature tradizionali, quando non per costruire proprio delle corazze.
La contaminazione da uranio impoverito, di sola natura chimica, avviene per la sua disgregazione e/o combustione, susseguente ad un impatto, che ne disperda il particolato, nell’aria, come nell’acqua. Tutte le patologie di natura tumorale che si sono verificate tra i nostri militari, sono state etichettate col nome di “Sindrome dei Balcani”, poiché riscontrate tra i soldati dei contingenti che operarono in missione in Bosnia ed in Kossovo.
Le critiche all’allora Ministro della Difesa, l’attuale presidente Mattarella, sono derivate dal fatto che la commissione d’inchiesta su quelle malattie e quelle morti, non accertò alcuna contaminazione radioattiva, ma probabilmente ometté di fare riferimento a quella di natura chimica, generando un fondato sospetto di volere occultare la verità.
Però, c’è un dato di fatto incontrovertibile: quelle informazioni sull’uranio impoverito che oggi sono alla portata di tutti e che un tempo lo erano solo per gli addetti ai lavori, avrebbero dovuto sconsigliarne l’uso in scenari bellici, a protezione di popolazioni inermi (quanti civili si sono ammalati e sono morti, per una simile contaminazione?). Ma, soprattutto c’è da chiedersi perché i tecnici militari, non abbiano fornito ai nostri soldati, le giuste indicazioni per scongiurare ogni possibile avvelenamento, da suddetto metallo.
Vista la quantità di denaro che ruota intorno all’industria bellica, è improbabile che avremo mai una risposta: troppi interessi verrebbero colpiti, troppe carriere verrebbero stroncate, per individuare i responsabili, in atti e in omissioni, di tante morti.
Però, almeno per il caporal maggiore Vacca, una parziale forma di giustizia è stata fatta ed il Ministero della Difesa è comunque stato dichiarato colpevole d’inadempienza, nel salvaguardare la salute di quegli uomini, che invece avrebbe dovuto tutelare.
di Mario Guido Faloci