La storia di Peppino Impastato. A cento passi dalla mafia.

La mattina del 9 maggio 1978, l’attenzione dell’Italia era tutta su via Caetani. Cinquantacinque giorni dopo il sequestro di Aldo Moro, il suo cadavere fu ritrovato nella famosa Renault 4 rossa parcheggiata nella strada a metà tra via delle Botteghe Oscure e piazza del Gesù. Ma la notte prima si era consumato un altro omicidio destinato a passare alla storia: quello di Giuseppe Impastato, detto Peppino, giornalista, attivista e membro di Democrazia Proletaria, noto per le sue denunce contro le attività di Cosa Nostra. “I cento passi”, film del 2000 diretto da Marco Tullio Giordana, ne narra la storia. 100 passi erano quelli che dividevano casa sua da casa del boss Gaetano Badalamenti, a Cinisi, in provincia di Palermo. Peppino era nato in una famiglia mafiosa. Il padre, Luigi, era a capo di un piccolo clan inglobato in un altro più grande. Quando morì, al suo funerale Peppino si rifiutò di stringere la mano ai boss degli altri mandamenti, e la cosa suscitò grande scalpore in paese. Sarà proprio la scomparsa del padre a pregiudicargli la protezione da “don Tano”. Aveva sempre rifiutato la logica mafiosa, pur continuando a rispettare la sua famiglia. Ma “famiglia”, in certi ambienti, è da intendersi in due modi: in senso biologico, di affetto per i propri cari; e in senso criminale. Peppino ovviamente aveva sempre scelto il primo. Nel 1977 aveva aperto Radio Aut, culmine della sua militanza antimafiosa. Dall’etere diffondeva clandestinamente messaggi, appelli, denunce, prese in giro ai danni delle cosche. Si candidò anche alle elezioni comunali nelle file di DP ma nel pieno della campagna fu assassinato. Il delitto, per i motivi spiegati sopra, passò quasi inosservato, ma a 39 anni dai fatti la sua lotta non è andata persa e il suo sacrificio non è stato dimenticato. Perchè sì, la mafia era e resta “una montagna di merda”.

di Valerio Di Marco

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