Giovanni “Faccia da mostro” Aiello

Le indagini sull’ex poliziotto implicato con mafia e stragi di stato

Su di lui indagano quattro procure, l’Antimafia e l’Antiterrorismo. È stato indicato da cinque pentiti come sicario per delitti ordinati da Cosa Nostra e forse anche dallo Stato, killer dei servizi segreti per i lavori sporchi. È Giovanni Pantaleone Aiello, detto faccia da mostro per la sua pelle butterata e per una ferita d’arma da fuoco che gli solca una guancia, ex poliziotto dal passato torbido, nato in provincia di Catanzaro nel 1946 e in servizio nella polizia dal 1964 al 1977. Inserito nel registro degli indagati per la prima volta nel 2009 in riferimento all’attentato dell’Addaura e alle stragi di Capaci e di via D’Amelio, tutte le accuse contro di lui sono poi state archiviate  nel 2012. Ma le testimonianze che lo tirano in ballo non si sono fermate, e dopo pochi mesi sono ripartite le indagini volte a verificare un suo eventuale ruolo nel vasto elenco di crimini a cui è stato associato. Si parte dai già citati casi di attentato, per arrivare all’assassinio del commissario Cassarà e del suo amico Roberto Antiochia, del poliziotto Nino Agostino e di sua moglie Ida, passando per le sue amicizie con la mafia calabrese e catanese, con terroristi di destra come Pierluigi Concutelli, e forse addirittura con i servizi segreti.

Giudicato non idoneo al servizio da un certificato sanitario che lo indica come vittima di «turbe nevrotiche post traumatiche» e congedato il 12 maggio del 1977, si sarebbe poi dedicato ad una tranquilla vita da pescatore, reddito dichiarato di 22 mila euro l’anno, salvo poi sparire per lunghi periodi senza che si sapesse dove, e possedere titoli per più di un miliardo di vecchie lire, come scoperto in una recente perquisizione.

“È lui l’uomo che veniva utilizzato come sicario per affari che dovevano restare molto riservati, me lo hanno detto i miei zii Raffaele e Pino”, ha confessato Giovanna Galatolo, figlia pentita di un boss mafioso del cerchio di Totò Riina, uno dei più influenti di Palermo fra gli anni 80 e 90, operante sul territorio da dove partirono i sicari per uccidere il consigliere Rocco Chinnici e il segretario regionale del partito comunista Pio La Torre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e il commissario Cassarà. Lo ha riconosciuto in una caserma della DIA, dall’altra parte di un vetro su una piattaforma di legno in mezzo a tre attori che si sono camuffati per somigliargli.

“È lui, non ci sono dubbi. Si incontrava sempre in vicolo Pipitone con mio padre, con mio cugino Angelo e con Francesco e Nino Madonia”, ha raccontato la donna davanti ai pm dell’inchiesta-bis sulla trattativa Stato-mafia Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. “Tutti i miei parenti lo chiamavano “lo sfregiato”, sapevo che viaggiava sempre fra Palermo e Milano… “.

Ex agente della sezione antirapine quando il capo della Mobile era quel Bruno Contrada condannato per i suoi legami con la Cupola, finora ha respinto ogni accusa, affermando anche di non essere più tornato in Sicilia da quando è stato congedato dalla polizia. Anche se qualche mese fa la sua casa di Montauro è stata perquisita e sono stati trovati biglietti recenti del traghetto che da Villa San Giovanni porta a Messina, appunti in codice, lettere, articoli di quotidiani che riportavano notizie su boss come Bernardo Provenzano. Dopo quella perquisizione, gli hanno notificato a casa un ordine di comparizione per il confronto con la Galatolo.

La figlia del boss è solo l’ultima dei tanti che l’hanno già tirato in ballo. Il  suo riconoscimento segue in realtà di molti anni le confidenze di un mafioso al colonnello dei carabinieri Michele Riccio. Il confidente si chiamava Luigi Ilardo e disse: “Noi sapevamo che c’era un agente a Palermo che faceva cose strane e si trovava sempre in posti strani. Aveva la faccia da mostro”. Era il 1996. Poco dopo quelle rivelazioni Luigi Ilardo – tradito da qualcuno che era a conoscenza del suo rapporto con il colonnello dei carabinieri – fu ucciso. E ancora anni dopo ne hanno parlato Vito Lo Forte, Francesco Marullo, Consolato Villani e Giuseppe Di Giacomo, tutti militanti attorno ai clan ‘ndranghetisti e mafiosi dei Galatolo e dei Laudani. «Ho saputo che ci ha fatto avere il telecomando per l’Addaura, che era coinvolto nell’omicidio di Nino Agostino, che ha fatto attentati su treni e caserme, che ha fornito anche il telecomando per via D’Amelio». E ancora «era amico di un pezzo grosso dei servizi segreti», e «si dice fosse uomo di Contrada, il funzionario del Sisde condannato per concorso esterno in associazione mafiosa».

Resta ancora tutto da verificare, anche se riesce difficile pensare che tutti questi collaboratori di giustizia si siano messi d’accordo per incastrare l’ex poliziotto.

In ogni caso, sempre che non si vada a scomodare qualche nome troppo altisonante, sembra che qualcosa stia venendo a galla.

di Simone Cerulli

 

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