Whatever It takes

Si è concluso a Roma il Global Health Summit, organizzato e voluto dalla presidenza italiana del G20 per il 2021 e dalla Commissione Europea. I risultati del vertice sono stati presentati in conferenza congiunta da Ursula von der Leyen e Mario Draghi, e sono contenuti nella “Dichiarazione di Roma”, approvata a conclusione dei lavori.

Le parole dei due leader, europea ed italiano, e la dichiarazione finale sono molto rilevanti come asserzioni di principio. Con un po’ di ottimismo – ogni tanto non guasta – dovremmo riconoscere al risultato del summit una portata storica.

È indubbiamente importante aver riconosciuto che la salute è un bene di valenza planetaria e che gli egoismi nazionali non hanno più ragion d’essere, non soltanto per evidenti motivi etici, ma anche per ragioni del tutto utilitaristiche. Detto in parole povere, o siamo vaccinati in tutto il mondo, o il virus prima o poi  ritornerà, con le varianti di cui sarà capace.

Pur con il limite della “volontarietà”, si è asserita la possibilità di derogare dalla logica del brevetto, considerando prevalente il diritto alla salute dell’intera popolazione planetaria.

La solidarietà, riconosciuta come inevitabile, è così entrata a far parte integrante della pur litigiosa comunità del G20.

Confesso che mi si è aperto il cuore ad ascoltare la conferenza stampa conclusiva.

Il risultato più immediato è stato l’impegno dei principali produttori di vaccini a fornire 3,5 miliardi di dosi a prezzo di costo ai Paesi poveri. Forse pesa sulla loro decisione il bisogno di presentarsi con un volto umano e di far venire meno la necessità di toccare il discorso brevetti, messi in discussione prima da Biden e poi dai due leader europei, pur in modo così cauto e prudente. Il risultato, comunque, non può considerarsi inutile.

L’Europa, inoltre, si è impegnata a fornire 100 milioni di dosi di vaccino ai Paesi poveri, cui si aggiungono altri contributi economici da parte di singoli Paesi, Italia compresa.

A dirla tutta, però, mi sembra che alle conclusioni del summit sia mancata qualcosa.

Recentemente il Sud Sudan e il Malawi hanno distrutto rispettivamente 60.000 e 20.000 dosi di vaccino anti COVID, scadute per le difficoltà incontrate nella somministrazione. Questo è un esempio eclatante dei problemi logistici e organizzativi dei Paesi meno sviluppati. A mio modo di vedere occorrerebbe una forte mobilitazione – non soltanto economica – da parte dei Paesi più ricchi. 100 milioni di dosi sono piccola cosa rispetto a 1,2 miliardi di africani, ma poi come distribuirli e somministrarli?

L’autorevolezza conquistata da Draghi sulla scena internazionale è legata alla sua frase più famosa: whatever it takes. Vuol dire che, quando l’obiettivo è importante, deve essere perseguito ad ogni costo, senza lesinare l’impegno né la spesa. Ebbene, mi sembra che la lotta alla pandemia e alle diseguaglianze che costituiscono un oggettivo ostacolo al suo successo avrebbe meritato un simile atteggiamento. Mi piacerebbe che i Paesi più ricchi ed avanzati sul piano tecnologico ed organizzativo si adoperassero a favore dei Paesi più poveri con lo stesso impegno, whatever it takes. Finora, nella maggior parte dei casi, il rapporto tra le due categorie di Paesi si limita ai respingimenti dei migranti ed allo sfruttamento delle risorse dei Paesi del sud del mondo. Oggi come mai è evidente che tutto il mondo è un villaggio globale, con gli stessi virus e gli stessi cambiamenti climatici, per i quali si muore in Africa come in America ed Europa. Whatever it takes, sarebbe proprio il momento di metterlo in pratica.

di Cesare Pirozzi

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