Tutto nel mondo è burla

“Tutto nel mondo è burla” sentenzia Falstaff nel finale  di una delle più divertenti commedie sugli intrecci e gli inganni, che riesce nell’intento di mettere in scena un’opera comica capace di far riflettere, di aprire grandi e ancestrali interrogativi sul destino dell’uomo e al contempo di suscitare una risata spontanea. La compagnia si dimostra all’altezza di esprimere con forza una grande energia corale fin dalla entrata, dirompente e evocativa di uno dei momenti più difficili: la chiusura dei teatri a causa della crisi pandemica. I bauli vengono posizionati nel proscenio e la compagnia veste di nero come nelle proteste dei lavoratori dello spettacolo che hanno riempito le piazze. La sapiente regia di Marco Carniti, riempie gli spazi al Globe Theatre di Roma, così come riempie il parterre e le gradinate. Un pubblico giovane, a cui il regista rivolge in modo diretto i dialoghi e le battute. Spessoallusive, a volte licenziose e accompagnate da una gestualità esplicita e triviale, ma raccolte e urlate con un grido liberatorio dai giovani del parterre. Brave le attrici. Bravi gli attori. Convincente la scelta di superare la dicotomia di genere. Molto ritmo e molto sarcasmo nei gesti e nelle parole. Bellissimi e indovinati i costumicosì come le musiche.

In contenuto fiabesco e ben recitato, che modernizza senza snaturare, si spalancano le porte ad una riflessione sulla vera condizione della donna che cerca la sua libertà e la sua emancipazione, utilizzando la burla come strumento di “vendetta”. A farne le spese lo stesso Falstaff di sempre, con la sua goffaggine, le pose lascive, la sua stazza e la seduzione spicciola, fatta di lettere uguali a Madame Page e Madame Ford che daranno il via al divertimento, alla burla, alla “giusta punizione” di un convinto  quanto improbabile seduttore. Nell’inevitabile intreccio di relazioni personali e sociali, c’è la rappresentazione di una realtà fortemente maschilista. Una realtà che Shakespeare riesce a trasformare in commedia rendendo ridicolo il matrimonio combinato tipico di quella epoca. Ma anche l’incapacità della chiesa e del clero di benedire il vero amore, essendo sempre riverenti difronte al potere, sia esso politico che economico. L’omaggio a Verdi e al suo libretto, viene sottolineato dal tricolore che campeggia all’inizio dello spettacolo, così come l’inno nazionale cantato in coro da tutta la compagnia ci rammenta della perfezione del connubio musicale verdiano con il testo del “bardo”.

Un connubio che fa di “Falstaff” una pietra miliare del teatro. Il tutto racchiuso nelle “ceste”, simbolo dello scorrere della Vita, all’interno di un circolo chiuso dove l’aristocrazia e il clero sono immobili nel tempo e nello spazio, incapaci di comprendere l’evoluzione delle donne che rivendicano il loro essere donne, libere di scegliere chi amare e come essere amate. La commedia è commedia della vita. La tragedia umana delle bassezze figlie della superficialità, è tragedia della perdita della possibilità di una realtà ideale in favore di una aberrazione perversa della quotidianità che vede la donna comunque subalterna alle meschinità dell’uomo. Una meschinità che può essere battuta, una quotidianità che può essere cambiata con l’utilizzo intelligente della burla così che “una risata vi seppellirà”.

 

di Nicoletta Iommi e Claudio Caldarelli

Print Friendly, PDF & Email