Morire di lavoro

Tutti i giorni, compreso la domenica, uno o due lavoratrici o lavoratori, muoiono, sul luogo di lavoro. Una strage continua. Incessante. Quotidiana. Si muore di lavoro. Giuridicamente si chiamano “infortuni sul lavoro”, ma moralmente sono “omicidi sul lavoro”. Le cause sono prevalentemente la mancanza o il non rispetto delle normative di sicurezza. Un non rispetto dovuto, principalmente, alla avidità delle imprese che cercano sempre maggior profitto e maggiori utili, sulla pelle delle lavoratrici.

Si torna al passato di 40 anni fa: si parla perfino di un corpo di vigilanza che eserciti attività di controllo, ma non di prevenzione. Così, i lavoratori continuano a morire, tre vittime al giorno. Questo in drammatico conteggio nei primi nove mesi del 2022.

C’è la totale indifferenza delle forze politiche su una questione così drammatica e dolorosa. Come sempre sono le imprese che indirizzano i governi, verso soluzioni inutili nel ridurre gli “omicidi sul lavoro”. Non si fa abbastanza sul piano della prevenzione e neanche sulla formazione. Tutti i provvedimenti sono incentrati sulla produttività, sull’abbassamento dei costi per essere competitivi. Senza dire che il prezzo di questa competitività lo pagano le lavoratrici e i lavoratori, cadendo dalle impalcature, rimanendo schiacciati, asfissiati nei pozzi, bruciati nei forni, intossicati. Morti orribili. Omicidi orribili, quasi sempre senza un colpevole. Difficile risalire alle responsabilità. Tutto diventa fumoso. I processi si allungano. Gli anni passano e i lavoratori muoiono.

Le competenze dei controlli sono affidate agli Ispettori del Lavoro, che sono pochi, alle ASL che non hanno risorse per controllare e fare opera di prevenzione. I lavoratori e le lavoratrici continuano a morire come e  più di prima, ad infortunarsi gravemente, ad ammalarsi molto più di prima. Siamo tornati indietro, con il governo dei “migliori”, cioè con il governo Draghi. Nessuno parla in Tv o sulla stampa delle malattie professionali. Eppure il numero dei morti per malattie professionali non è certo inferiore a quello causato dagli infortuni.

Si continua a morire sul lavoro, di lavoro, nella indifferenza politica che non ha tempo per affrontare il problema e non ha voglia di affrontarlo. Affrontarlo significherebbe rimettere in discussione il concetto di profitto elevato alla massima potenza. Significherebbe rivedere, in modo etico e morale, la formazione e la prevenzione, diminuendo ed eliminando i rischi, tutti interni al sistema produttivo.

Il prof. Sciarra, da poco presidente della Corte Costituzionale, ha osservato nel suo discorso di insediamento che “l’Italia ha un corpo di norme sulla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro molto avanzato…” ma ha anche aggiunto che “c’è una scarsa attenzione nell’attuale nel modo migliore”.

Claudio Caldarelli – Eligio Scatolini