Barbablù: l’istinto maschilista della violenza
Un percorso di analisi e destrutturazione degli stereotipi, le parole discriminatorie, pensate, urlate, rivolte ad ognuno di noi. Sul palco del teatro Belli di Roma in Trastevere, con la regia di Giulia Paoletti va in scena “Barbablù” interpretato da un ancora acerbo, ma appassionato e intenso, Edoardo Frullini. Una scenografia scarna, minimale, claustrofobica, composta da una infinita di corde attorcigliate su se stesse, una gabbia intestinale in cui è racchiuso Barbablù con tutte le sue diverse nature e fragilità non per questo meno violente. Uno specchio contemporaneo dove il femminicidio appartiene alla sfera violenta dell’uomo, con tutte le sue contraddizioni.
La sensazione di umiliazione che le donne vivono, gli abusi sui loro corpi e sulle loro menti, messe in atto da uomini incapaci di amare anche quando scambiano razionalmente la loro natura violenta per amore. Un amore che non è mai amore, ma odio per ogni forma di bellezza che la donna esprime. Edoardo Frullini, in un monologo teso, incalzante, attorcigliato sulle sue idiosincrasie, ai suoi tormenti, dà voce e corpo ad un uomo incapace di amare, pur se amato incondizionatamente.
Un percorso introspettivo recitato ad arte, lascia il pubblico senza fiato, nel vero senso della parola. Togliendo il respiro, facendoci divenire parte di un processo distruttivo in cui le vittime sono e restano le donne. Le parole, quelle che non si dicono, Edoardo le mette in scena urlandole in faccia al pubblico per smuoverlo da un torpore sociale in cui sono prigionieri. E, la sua prigione, di budella incordate, strozzano e imprigionano, non solo lui sul palco, ma l’intera società contemporanea. Un grido di allarme per far uscire dalla propria confort zone ognuno di noi, per finalmente aprire gli occhi su chi realmente siamo. Le donne sono vittime di questa violenza, di abusi, di maltrattamenti, così radicata in ognuno che nessuno vuole riconoscere. Edoardo Frullini ci rende consapevoli del destino a cui andiamo incontro se non prendiamo consapevolezza di questa natura violenta insita nella società moderna e odierna. Essere consapevoli per iniziare a sciogliere quella intricata matassa di budella insanguinate che altrimenti conduce ad essere colpevoli allo stesso modo di Barbablù. Una narrazione forte che scuote gli animi, generando un silenzio assordante dal quale ognuno, se consapevole, vuole fuggire.
Il grido di dolore si ripete nella stessa tormentata sofferenza del carnefice, cannibale di se stesso nella doppiezza della sua natura. Surreale, graffiante, il protagonista accentua la riflessione sulla sulle relazioni disfunzionali, di cui le donne sono le vittime sacrificali, violentate, abusate e uccise, da un istinto primordiale che ancora fatichiamo ad affrontare. La cultura maschilista che uccide. Tutti i giorni ogni giorno.
E quando c’è ne accorgiamo quello che proviamo è la delusione di noi stessi, incapaci di coniugare l’amore con la felicità. Così prende il sopravvento la l’istinto crudele, violento, assassino che prima ti abbraccia e poi ti distrugge. La verità della quotidianità messa in scena con bravura dalla regista Giulia Paoletti e da un brillante Edoardo Frullini.
Claudio Caldarelli