Turchia in rivolta chiama Europa non risponde

Emrek Imamouğlu, sindaco di Istanbul, è arrestato. L’ordine è stato covato a lungo dentro il pensiero d’odio del più elevato ufficio in bassezza del palazzo presidenziale. È un attimo, lo stesso attimo dell’arresto. Da laggiù, dall’asfalto, dal paradiso negato sotto di esso si concreta lo sdegno d’amore in forma di marea umana incomprimibile. Il Palazzo cala la Polizia. Non solo arresti e pestaggi, ma vere e proprie torture.

Dalle viscere del sottosuolo fino alla volta senza confini del cielo, la Turchia in rivolta chiama Europa. Questa non risponde. È occupata a giocare ai soldatini di piombo con la putrescenza imperiale. E le ragazze, i ragazzi d’ogni età, dentro e oltre la linea fluviale del Bosforo, che dischiudono insorgenze d’orizzonti e atti d’insieme inediti, li lascia alla ferocia d’un figlio di puttana tirannoide, ma un figlio di puttana suo. Europa e Nato, infatti, lo ricoprono d’oro. L’una quale immane diga per migranti; l’altra quale armata per fare nuove guerre che fabbricano ancora più migranti in riduzione di macerie. Un miliardo di euro l’ultimo ricco pacco mi ci ficco natalizio consegnato a Erdogan nel dicembre del 2024 dalla Commissione Europea. Ma una quindicina quelli versatigli fino a oggi. Massa di soldi da rendicontare euro su euro, anche  per verificarne l’impatto concreto, la sua efficacia sul campo. Tutte le verifiche europee, però, sono state avvolte e disperse dietro le volute del fumo di sigarette e i vapori dei bagni turchi della corruttiva banalità del male bizantino.    

Dove sorge linfa e luce di destino l’Europa fugge. Nelle regioni dove un armato sole nichilista rifulge, invece, essa si rifugia solo per la morte. Da quanti anni la Turchia ha avanzato la sua ultima richiesta protocollare d’adesione all’Unione Europea? Circa venti. E ora che suoi, sue ventenni in carne e ossa, parola e pensiero, slancio di giustizia e coraggio, scorrono di fatto già dentro le sue vene, le sue sinapsi cerebrali, Europa serra le labbra per non lasciarsi sfuggire neanche un bisbiglio d’intima vicinanza, di respiro all’unisono con il loro anelito.

Avremo ancora la speranza di un’altra maledetta primavera stuprata sui selciati? E come mai il giornale di una delle famiglie più ricche e potenti d’Italia e d’Europa non chiede al sindaco capitolino la questua di altri trecentomila euro al fine di mobilitare i suoi intellettuali aziendali per l’autenticità dell’Europa cui – non propagandisticamente – si sta dando oggi materia e coscienza sulle strade di Istanbul e della Turchia?

Riccardo Tavani