La scelta di Lea Garofalo

Patrizia Vindigni

Una bambina di soli nove mesi, di nome Lea, è cresciuta senza padre, in una famiglia calabrese, a Petilia Policastro. Piccina, forse già con un carattere deciso, determinato, non ha potuto essere stretta al cuore da un papà affettuoso perché glielo hanno ucciso nel corso di scontri legati alla “faida della Pagliarelle”. Una delle tante guerre tra famiglie, che alcuni componenti delle stesse farebbero durare per sempre o, perlomeno, fino allo sterminio dell’altra parte. Lea Garofalo è figlia di un boss della ‘ndrangheta. Cresce vivendo la realtà di quella mafia calabrese, senza assorbirne i contenuti, ma imparando lentamente a distanziarsene. Una sua scelta, da donna capace di un proprio volere. Impresa non facile in una realtà fatta di regole infrangibili, dure, severissime, che richiedono la pena capitale per chi è vissuto come traditore. Lea Garofalo queste norme di vita le conosce bene. Eppure…
A soli diciassette anni sposa Carlo Cosco e con lui si stabilisce a Milano, lontana dalla sua terra natìa. Carlo Cosco sceglie Lea perché questo lo avvicina alla famiglia dei Garofalo, una famiglia ritenuta potente tra le ‘ndrine. Da lui, giovanissima, ha una figlia, Denise, per la quale decide di dare una svolta alla sua vita. Non le piace l’idea di far crescere la sua piccina con quegli esempi di violenza. A lei la ‘ndrangheta ha portato via il padre, il fratello Floriano, gli amici, ne conosce fino in fondo la dinamica, la schiavitù che lega ad un patto di sangue tutti i componenti.
Quando il marito è arrestato, nel 1996, durante una visita in carcere, Lea gli comunica la sua intenzione di volerlo lasciare, di volersi liberare di quel legame che ormai le pesa, di voler portare la figlia Denise con sé, rientrando in Calabria. La reazione dell’uomo non tarderà ad arrivare. Un giorno del 2002 la macchina di Lea è data alle fiamme da sconosciuti. Lea non impiega molto a capire da chi proviene quel gesto di intimidazione. Comprende di essere in pericolo e, per questo, decide di raccontare tutto quanto sa sugli affari della famiglia, sui legami con la ‘ndrangheta, agli organi di polizia.
Lo fa con convinzione, per uscire da una vita che non accetta di riservare alla sua bambina.
Dopo questa testimonianza la vita per Lea Garofalo non diventa più semplice, anzi, si complica. Il complice di questa, forse inaspettata, difficoltà è uno stato che non appare particolarmente reattivo e attento quando qualcuno, nel caso specifico Lea Garofalo, decide di voltare la spalle alla mafia. Lea si sente sola in una lotta di cui le conosce bene le asperità e il pericolo.
Lottare con forza diventa un imperativo per sopravvivere. La fanno entrare in un programma di protezione, ma, visto che inizialmente le sue dichiarazioni non portano ad arresti o a scoperte particolarmente rilevanti, le viene revocato dopo poco tempo. Lea si sente sempre più sola, trattata da collaboratrice di giustizia, come se lei stessa fosse stata parte coinvolta nei crimini di cui racconta, piuttosto che da testimone di giustizia. Rientra nuovamente nel programma di protezione ma nel 2009 è lei stessa a decidere di uscirne, nel tentativo, vano, di recuperare la sua vita, in un recupero di fiducia nei confronti dell’ex marito, che ritiene troppo affezionato alla figlia per continuare a farle del male.
Si sbaglia.
Il 24 novembre 2009, dopo un primo tentativo di far rapire la ex moglie nel maggio 2009, Carlo Cosco incontra Lea a Milano, la porta in un appartamento di piazza Prealpi e tra quelle mura dà piena realizzazione al piano di vendetta, lungamente covato.
Carlo Cosco, dopo aver torturato la giovane donna, la strangola e, l’indomani, ne fa sparire il corpo che sarà bruciato, frantumato a colpi di pala, gettato via. Sono sei le persone ritenute inizialmente coinvolte nell’omicidio e che saranno condannate in primo grado nel 2012: Carlo, Giuseppe e Vito Cosco, Carmine Venturino, Rosario Curcio, Massimo Sabatino. Nel 2013 la sentenza di seconda grado della Corte D’Appello conferma l’ergastolo per Carlo e Vito Cosco, per Rosario Curcio e Massimo Sabatino, riduce a 25 anni la pena per Carmine Venturino. Assolve Giuseppe Cosco. Sentenze tutte confermate in Cassazione nel 2014.
Quanto è rimasto del corpo di Lea Garofalo sarà scoperto solo nel 2012 quando Carmine Venturino, diventato collaboratore di giustizia, rivelerà ogni particolare atroce dell’accaduto. Di Lea Garofalo resta il ricordo di una madre che ha sacrificato la sua vita per donarne una migliore e diversa alla figlia Denise. E c’è riuscita. La sua fine resta ad indicare la necessità di salvaguardare la vita, di chi decide di testimoniare o collaborare con la giustizia, in modo più efficace.

di Patrizia Vindigni