Tanna: Giulietta e Romeo sull’orlo del cratere

Nell’Oceano Pacifico meridionale, a ovest delle Figi, sono sparpagliate le ottantatré isole che formano l’arcipelago di Vanuatu. Un arcipelago che assume una singolare forma di Y, quasi una costellazione sull’azzurra superficie oceanica. Tanna è l’isola più famosa, per la presenza del vulcano Yasur, vera e propria montagna vivente, sempre in magmatica attività di spirito e lava incandescente. Nella foresta ai piedi del vulcano ci sono circa ventimila aborigeni che continuano a vivere – per loro scelta – secondo le loro tradizioni e i loro costumi originari prossimi alla nudità. Hanno tenacemente resistito a colonialismo, religione cattolica e dio denaro. Sull’isola di Tanna due documentaristi, Martin Butler e Bentley Dean, nel 2015 hanno girato un vero e proprio film narrativo. Narrativo ma senza alcuna finzione, né nella storia raccontata, né negli attori – dai protagonisti fino all’ultima comparsa. I due registi si sono trasferiti con le loro famiglie sull’isola e hanno stretto una tale amicizia con una delle tribù residenti, gli Yakel, da convincerli a interpretare direttamente loro il film su una drammatica vicenda che li aveva riguardati. Il loro rifiuto totale di integrarsi o contaminarsi con la nostra civiltà ha avuto così un’eccezione: il cinema. Per fortuna: perché quel rifiuto mantiene integralmente intatta la loro attuale autenticità tribale, mentre l’accettazione del cinema permette a noi di entrarne visivamente in contatto. Ne scaturisce un capolavoro di cinema e antropologia senza precedenti. La vicenda è quella di una semplice ragazza della comunità in età matrimoniale, Wawa, e del figlio del capo-tribù, Dain, che si innamorano l’uno dell’altra. Il loro sentimenti e il loro legame sono profondi, abissali quanto il ventre sacro del vulcano, ma questo loro amore lacera in maniera irrimediabile le ancestrali leggi del “Kastom”, il codice tribale non scritto, ma che marchia fuoco, che regola le unioni dentro le varie tribù e fra esse. Questo crea un conflitto letale tra le due tribù confinanti che dovevano tra loro intrecciare matrimoni di alleanza e pace, proprio attraverso i due giovani che invece vi si sottraggono, fuggendo nella foresta. Un “Romeo e Giulietta” alle radici dell’umanità e della natura. La forza della natura, la potenza del vulcano appaiono infatti quali protagonisti essenziali di questo film, come raramente lo si era visto in altre opere cinematografiche. È questo tangibilissimo eppure inafferrabile personaggio non umano, anzi, sovra-umano, a farci entrare nei pori della pelle del racconto, dei suoi protagonisti e antagonisti, nel loro duro scontro per la vita e la morte, ossia per il riconoscimento o disconoscimento dell’amore nella sua sacralità o maledizione.

Un film da “non perdere”, nel senso vero e proprio del termine, ossia da cercare, rintracciare, dato che non è possibile – purtroppo – vederlo quasi in nessuna delle normali sale cinematografiche cittadine, nonostante sia stato candidato all’Oscar 2017 come Miglior Film Straniero. A Roma lo si trova all’Apollo 11, uno storico cineclub nei pressi di Piazza Vittorio, dove sarete accolti da un’atmosfera da ampio intrigante loft o garage creativo, con alcune file di lunghe panche confortevolmente imbottite. A Milano è all’altrettanto storico Beltrade. Ad Agrigento al Mezzano, a Prato al Nuovo Cinema Pecci, a Perugia al PostModernissimo, a Padova al Lux. Se andrete a vederlo il tradizionale “Buona visione!” non è solo un augurio ma una certezza.

di Riccardo Tavani