La nascita della Nazione del popolo ebraico. Un nuovo stato etnico che potrebbe sancire la fine definitiva della ricerca della pace.

Una notte buia, quella del 18 luglio, per Israele e per la democrazia. Con 62 voti favorevoli e 55 contrari, la Knesset ha votato la legge che, definendo lo Stato mediorientale come la “nazione del popolo ebraico”, sancisce, nei fatti, la nascita di uno stato etnico.
La disposizione, voluta dal primo ministro Benjamin Netanyahu, è stata approvata dal parlamento più a destra nella storia di Israele, nonostante l’opposizione dei partiti di centrosinistra, di quelli arabi, degli intellettuali israeliani e della comunità gay, che denunciano l’intento discriminatorio della nuova legge.
Mentre per i deputati arabo-israeliani l’approvazione rappresenta la «morte della democrazia» per il primo ministro Benyamin Netanyahu la legge “non colpisce né intende colpire in futuro i diritti del privato cittadino” ma “rafforza la legge del Ritorno” per gli ebrei della Diaspora, impedisce “l’ingresso incontrollato in Israele dei palestinesi” mediante i ricongiungimenti familiari e pone un freno all’immigrazione illegale.
Nei fatti, la nuova legge – che ha una dignità costituzionale ed è quindi più difficile da abrogare rispetto a una normale disposizione – stabilisce che Israele è lo “Stato-nazione del popolo ebraico”, dichiara Gerusalemme Capitale, adotta come calendario ufficiale quello ebraico, declassa l’arabo da seconda lingua ufficiale a lingua “speciale” e definisce l’istituzione di comunità ebraiche, cioè gli insediamenti in territorio palestinese, come fatti d’interesse nazionale.
Solo a seguito di un forte intervento del presidente israeliano Reuven Rivlin, è stato cassato dal progetto finale della legge un articolo che legittimava anche la nascita di città e quartieri esclusive e “separate”. Entità che avrebbero potuto, legittimamente, praticare discriminazioni basate sulla razza, sulla religione, sul sesso, sulla nazionalità ma anche sulla disabilità, sullo stato personale, sull’età, la genitorialità, l’orientamento sessuale, il paese di origine o l’appartenenza politica.

In un accorato appello – sottoscritto tra gli altri da David Grossman, Amos Oz, Abraham Yehoshua, Eshkol Nevo, Etgar Keret e Orly Castel-Bloom – i firmatari affermano di confidare nella Corte Suprema perché intervenga sulle parti più controverse della legge ma, soprattutto, si rivolgono al popolo israeliano perché “ci sono violazioni che toccano il cuore del popolo ebraico e la sua patria, che meritano l’attenzione degli intellettuali e del giudizio della storia”.

Nei piani di Netanyahu la legge rappresenta un forte argomento da campagna elettorale. Una strategia comunicativa tesa a presentare gli oppositori come elementi non patriottici. Fino ad oggi i sondaggi mostrano un sostegno maggioritario ma molti sono preoccupati di come la legge dello Stato-Nazione potrebbe incidere sulla natura democratica del paese.
A disturbare i disegni del primo ministro, e rendere meno credibile una narrazione giocata sui nemici del popolo, è intervenuta la dura opposizione alla legge della minoranza Drusa.
Una comunità piccola ma molto rispettata in Israele, anche per il ruolo attivo che svolge nell’esercito e nella difesa dello stato, e che non ha mai appoggiato le richieste dei Palestinesi.

Per gli oltre 100mila drusi che hanno manifestato nelle strade di Tel Aviv, la legge legalizzerà la discriminazione perché dichiara Israele come lo stato-nazione del popolo ebraico e omette ogni riferimento all’uguaglianza o alla natura democratica del paese.
Netanyahu ha tentato di correre ai ripari convocando una serie d’incontri con i leader drusi. La proposta di una legge separata che riguardava lo status dei Drusi in Israele è stata respinta dai leader della comunità che hanno ribadito la loro richiesta di modifica o abolizione della legge.
Sono apparse poco credibili le rassicurazioni di Netanyahu basate sull’affermazione che altre leggi fondamentali dello stato garantiscono l’uguaglianza per i non ebrei e definiscono Israele come Stato democratico.
Una tesi, questa, smentita da Amir Fuchs, dell’Israel Democracy Institute. Lo studioso, infatti, sostiene che se è vero che le leggi fondamentali di Israele – una costituzione de facto – includono riferimenti al paese come “ebraico e democratico”, non dichiarano, però, nessun diritto specifico all’uguaglianza. Per questo, nonostante Fuchs condivida il principio che afferma Israele come lo stato nazionale del popolo ebraico, ritiene che la legge sia dannosa per le minoranze.
David Grossman, in una lettera aperta al popolo israeliano, pubblicata sul quotidiano Haaretz, scrive che la nuova legge segna la “rinuncia alla possibilità di porre fino al conflitto con i palestinesi” e il suo scopo ultimo sia quello “mantenere aperta la ferita nei rapporti fra Stato e minoranza araba”.
Perché, certo, una minoranza ferita é più vulnerabile e più’ facilmente manipolabile.

di Enrico Ceci

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