Senza indignazione non c’è futuro
Mi sono preso un mese sabbatico, obbligatoriamente, per assenza di campo da parte dei venditori di megabit e, spesso, anche di segnale tv.
L’ho vissuto, per quanto riguarda i mezzi di comunicazione, come ai miei vent’anni.
Anzi certamente peggio, perché allora potevo scegliere ogni giorno tra i vari giornali e confrontarne le posizioni chiaramente diverse.
Mentre oggi molte delle mie testate non ci sono più e le altre sono una desolante passerella di un mondo che, visto da destra o da sinistra, su scala nazionale o internazionale, ha sempre accettato ed accetta la logica dell’egoismo e del profitto come principi guida della società.
Con qualche eccezione, per fortuna. Come “Il Manifesto, che ha mantenuto l’ispirazione originale, o come “L’Osservatore Romano”, che ha finalmente trovato con Francesco il coraggio di esprimere senza fingimenti o riserve i principi del Concilio Vaticano Secondo.
Per quanto riguarda l’informazione politica, siamo alla generazione dei pappagalli. Oscuri parlamentari delle diverse forze politiche ripetono slogan elettorali (non più di 3 minuti, par condicio?) senza alcun problema di logica o di verità.
Ma soprattutto c’è l’esibizione costante dei muscoli del vicepresidente leghista, costantemente a caccia di voti tra le frange becere degli ultras, dei razzisti, degli egoisti nazionalisti, dei disperati senza lavoro.
E c’è la balbettante difesa del vicepresidente pentastellato, alla ricerca di giustificazioni per una pratica di (non)governo che nega tutte le promesse fatte al suo elettorato.
Tutto questo, purtroppo, è accompagnato da una opposizione (Pd ed Fi) altrettanto recitata ed elettorale, senza contenuti, senza slancio, capace solo di intestardirsi a difendere gli spaventosi errori dei 25 anni delle loro gestioni di governo.
Ma, ancora peggio, c’è l’inerzia, la accettazione passiva, la mancanza di indignazione della gran parte della popolazione italiana.
Quasi rassegnata a parolai che sfidano l’Europa (anch’essa assolutamente inerte ed incapace sul problema emigrazioni) sulla pelle di 150 persone, eritrei in fuga da una guerra fratricida; parolai che vincono battaglie contro le organizzazioni non governative solo con l’aiuto umanitario per 20 persone di Albania e Irlanda e con la presa in carico degli altri da parte della chiesa cattolica.
Quasi inerte a fronte di incapaci che già con dichiarazioni di belligeranza verso l’Europa hanno fatto crescere di 15 miliardi annui (da spread) gli interessi sul debito nazionale, che continua a crescere (siamo ormai oltre i 2.300 miliardi).
Già, 15 miliardi con i quali si sarebbe potuta attuare, ad esempio, la promessa elettorale di eliminare la legge Fornero.
Dobbiamo riflettere seriamente sulla nostra incapacità di indignazione.
Perché anche in questo siamo condizionati.
Ci fanno credere di avere contribuito contro il femminicidio con una fiaccolata, ai problemi dell’Africa con sms da 2 euro verso onlus più o meno sconosciute, alla lotta contro la criminalità organizzata con una messa celebrata in ricordo di Falcone e Borsellino e delle loro scorte.
Ci vogliono far credere che fanno interventi di ricostruzione per il terremoto del centro Italia parlando continuatamente di Amatrice ma non ci dicono il nulla che è stato fatto nei confronti di tanti altri paesi delle Marche e dell’Abruzzo, o del centro de L’Aquila (precedente terremoto).
Ci parlano della volontà, dopo il crollo del viadotto di Genova, di revocare la concessione alla società Autostrade, suscitando il plauso di automobilisti che possono illudersi in ribassi dei pedaggi, ma anche creando possibilità di speculazioni in borsa per pochi gruppi di informati.
Ci fanno credere ad inflessibile punizione delle responsabilità della tragedia del viadotto Morandi, senza dire che procedure, difese legali e prescrizioni per i potenti avranno gli stessi ridicoli esiti verificati per altre ancora maggiori responsabilità, come per i responsabili della diga del Vajont o per l’esplosione del vagone di gpl di Viareggio.
Ci fanno commuovere per i morti di Genova, ma non considerano mai, non fanno mai niente per altre morti e le corrispondenti responsabilità: quelle dei morti sul lavoro, più di uno al giorno in Italia. Si dà per scontato che ogni giorno ci sia una famiglia in cui non ritorna un padre, o una madre, usciti al mattino per andare al lavoro…
Davvero, dobbiamo riflettere se per la nostra società nazionale il “ribellarsi è giusto” con cui ci incitava il vecchio Ingrao è ancora possibile, è ancora nelle o un figlio coscienze della maggioranza dei cittadini.
O se è ormai in atto un inarrestabile declino di individualità che vivono o aspirano a vivere per il proprio personale profitto.
Per le quali “Libertà, Fraternità, Uguaglianza” sono parole vuote di significato.
di Carlo Faloci