Il Natale dei disperati del Mediterraneo
Quest’anno il Natale non sarà un giorno di festa. Per molti ma anche e soprattutto per i “disperati del Mediterraneo”. Il popolo dei senza voce, dei senza diritti, il popolo dei migranti. La notizia di nuove morti si perde tra i lockdown natalizi e i lamenti di chi rimpiange le tavolate di un tempo.
Sono almeno 20 le persone morte in un naufragio al largo della costa di Sfax, in Tunisia.
Lo ha reso noto ieri, 24 dicembre 2020, un ufficiale della Guardia costiera, che ha recuperato 20 corpi di migranti che sognavano di raggiungere l’Italia e ha tratto in salvo cinque persone in condizioni gravi. Le vittime sono per lo più originarie dell’Africa subsahariana, come ha confermato all’agenzia Dpa un portavoce della Guardia costiera a Sfax, Ali al-Ayari. A bordo del barcone c’erano almeno 40 migranti e continuano le ricerche per i dispersi.
Arrivano nelle aree di Porto Empedocle, Sciacca, Licata, nell’Agrigentino, su barconi di legno di 10-12 metri, che spesso vengono anche abbandonati. Più a ovest, verso Trapani o Mazzara, gli immigrati sbarcano, invece, da gommoni che portano dalle 20 alle 40 persone alla volta. In alcuni casi, assieme agli esseri umani, sono stati recuperati anche carichi di sigarette o stupefacenti. Molti raggiungono Lampedusa o Pantelleria e le coste occidentali della Sicilia, soprattutto agrigentine e trapanesi. All’arrivo nascondono le imbarcazioni, usate anche per il trasporto di hashish e sigarette di contrabbando. Spesso i tunisini intercettati dalle forze di polizia hanno documenti falsi. Non pochi di loro abbandonano i centri di accoglienza, anche quelli in quarantena. Il problema più critico sono i ripetuti sbarchi occulti, non intercettati dalla pubblica sicurezza. Senza, dunque, identificazione e valutazione del profilo di rischio dei migranti.
Imen Ben Mohamed è una giovane e combattiva deputata del partito islamista “Ennahda”: “La lotta contro il traffico di esseri umani – dice a Globalist la parlamentare tunisina, eletta nella circoscrizione estera in Italia – è una delle nostre priorità. Non è facile, perché le organizzazioni criminali sono potenti, hanno mezzi e denaro per reclutare giovani senza lavoro. Con l’Italia, la vostra Ambasciata, gli imprenditori che hanno investito nel mio Paese, le Ong che lavorano per aiutarci a migliorare le condizioni di vita del popolo tunisino, c’è un rapporto fattivo, uno spirito straordinario di cooperazione che spero possa essere rafforzato nel 2021”.
Considerare la rotta tunisina quale mera alternativa a quella libica appare riduttivo. Sono i migranti tunisini a imbarcarsi dai porti di Sfax e Kerkenna, raramente gli stranieri. Ad oggi i protagonisti della rotta restano i giovani tunisini che, stretti nella morsa di un’economia impoverita e di un clima politico asfissiante, fuggono a bordo dei social media prima ancora che dalle imbarcazioni di fortuna.
Nell’ultimo anno il Pil è cresciuto meno dell’1 per cento, la disoccupazione è schizzata invece al 30 per cento. Le conquiste democratiche, avviate dopo la fuga dell’ex presidente Zine El Abidine Ben Ali, il 14 gennaio 2011, non sono state accompagnate da una crescita economica in cui tutti speravano. Una crisi economica drammatica, che non risparmia i beni primari: tutto è caro, la carne rossa costa 25 dinari al chilo, in tavola arriva se va bene una volta al mese. Senza contare che bisogna pagare l’affitto, le bollette, l’assistenza sanitaria, che non è più gratuita per nessuno, neanche per chi ne avrebbe diritto. Un dramma per un Paese che ha la disoccupazione al 30% e ben poche speranze di mobilità sociale. Nulla è stato fatto per dare speranza ai giovani che languono in condizioni di povertà, disoccupazione e frustrazione. La peggiore recessione dai tempi dell’indipendenza nel 1956.
La grande maggioranza del popolo sostiene il processo democratico. Si tratta di un patrimonio di credibilità che non va disperso. Ma i rischi sono tanti, legati soprattutto alla situazione socio-economica. La difesa dei diritti umani è importante ma lo è altrettanto il rafforzamento dei diritti sociali. La democrazia si rafforza se si coniuga alla crescita economica, alla giustizia sociale, a realizzare prospettive di lavoro per i giovani. Non è un caso che i terroristi dell’Isis abbiano puntato a colpire il turismo, una delle fonti di entrata più importanti per la Tunisia. Oggi i terroristi reclutano giovani emarginati non offrendo loro il miraggio del “Califfato” ma un salario per combattere la Jihad. Per questo è fondamentale che l’Europa investa nella cooperazione con la Tunisia e più in generale con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. Per l’Europa non sarebbe un atto di generosità ma un investimento a rendere sul piano della stabilità e della sicurezza. Un investimento sul futuro.
A muovere tutto sembra essere proprio l’enorme problema che si chiama malessere sociale. La libertà non può dirsi realizzata se non hai un lavoro, se i giovani non possono costruire il loro futuro, avere una casa, diventare autonomi. Quello tunisino è un popolo giovane, e se ai giovani non si garantisce una prospettiva concreta di realizzazione, il futuro è a rischio.
Intanto, il Viminale sta studiando una sorta di blocco navale, autorizzato dal Governo tunisino. Ma non c’è blocco che tenga che possa fermare una “marea umana” senza giustizia, senza lavoro, senza futuro. La “rotta tunisina” è l’ultima chance per i disperati del Mediterraneo.
E oggi che tutti si lamentano di un Natale vissuto sottotono, con qualche ristrettezza negli spostamenti o per vedere i propri parenti, ricordiamoci che solo ieri ben 20 persone sono morte in un naufragio. Perché ogni “problema” andrebbe visto da diverse prospettive, come si fa quando si scatta una fotografia e lo stesso soggetto rivela dettagli interessanti, differenti fino ad avere quasi un altro soggetto da osservare. I nostri occhi sono quella macchina fotografica, la nostra umanità quella tecnica che ci permette di cambiare luce e ottica per approdare ad una visuale definitiva da mettere a fuoco.
di Stefania Lastoria