Leila, madre coraggio di piazza Tahrir
Non parliamo solo di una madre coraggio, di una donna che almeno due volte a settimana dal settembre 2019 attende un messaggio fuori dalla prigione egiziana di massima sicurezza di Tora al Cairo, luogo in cui suo figlio Alaa Abd el-Fattah, informatico simbolo della rivoluzione del 2011, è rinchiuso, dopo essere scomparso, prelevato dalla polizia segreta alla stazione di polizia di Dokki senza chiare motivazioni di accusa. Leila Soueif, attivista egiziana per i diritti umani e delle donne, docente di matematica all’Università del Cairo, vedova del noto attivista e avvocato comunista Ahmed Seif el-Islam e madre di Mona, Sanaa e Alaa Abd el-Fattah, anch’essi attivisti, più volte arrestati durante e dopo la rivoluzione del 2011, è una ispirazione vivente. Un esempio per tutte le donne, per tutte le madri che lottano per i propri figli ingiustamente privati della libertà.
E per la pubblicazione del libro Non siete stati ancora sconfitti – una raccolta di più di dieci anni di scritti del figlio, pubblicata in Italia dalla casa editrice Hopeful Monster, – accetta di parlare, di uscire dal riserbo. Lei e la sua famiglia hanno deciso di pubblicare la raccolta dei discorsi, degli scritti e dei messaggi di Alaa solo dopo molti anni di detenzione: «Alaa è da due anni in un regime di massima detenzione e penso che sia importante adesso, per tutte le persone che possono e che vogliono, ascoltare la sua voce direttamente, senza filtri, tramite ciò che ha detto e che ha lasciato finora. C’è molto da scoprire, da leggere, da capire, semplicemente tramite i suoi scritti, memorie, discorsi, riflessioni. Parlano da soli. Questo è il motivo. Perché proprio adesso? Perché dopo che diversi membri della nostra famiglia hanno subito sorte simile, quello che sta accadendo ad Alaa – ossia il contenimento in una struttura riservata ai peggiori nemici dello Stato – è semplicemente fuori da ogni legalità. L’aspetto più importante è che ciò non accade solo ad Alaa e chiediamo la fine di questo stato di detenzione per tutti i prigionieri politici come lui. Chiediamo che vengano liberati l’uno dopo l’altro».
Il libro dunque come unico modo – forse l’ultimo e più estremo – di suscitare l’attenzione sui prigionieri politici egiziani e l’azione a livello internazionale nei confronti del governo attuale.
«Dal mio punto di vista – prosegue Leila – ciascuno potrebbe essere determinante e tutti dovrebbero fare la loro parte, adesso, e con maggior coraggio. Un coraggio che non abbiamo visto a livello diplomatico. Molte persone, in questi anni, hanno divulgato notizie su questi casi, da varie angolazioni, da molti Paesi e in varie lingue. Ma siamo sempre allo stesso punto e c’è sempre maggiore necessità che se ne parli. Il problema è che le relazioni di molti Paesi nei confronti dell’Egitto dovrebbero cambiare: penso all’Italia, penso agli Stati Uniti. Questo dovrebbe avvenire se i diritti umani fossero una priorità nell’agenda politica internazionale e se fosse una priorità fare pesare tali responsabilità sul governo egiziano. Ovviamente delle pressioni efficaci sul governo potrebbero portare alla liberazione dei prigionieri, come mio figlio».
Come lei sono tante le mamme che attendono ore ed ore insieme fuori dalla prigione, sperando di ricevere dei messaggi da parte dei loro figli, messaggi che puntualmente non arrivano.
«Sabato scorso ho atteso per tutto il pomeriggio ma non abbiamo ricevuto alcun messaggio. Nulla. Non è un buon segno. Da metà settembre scorso mio figlio manifesta segni di cedimento, di depressione, di uno stato mentale ormai compromesso, fragile, rassegnato, provato. È stato sempre abbastanza audace, anche nei suoi messaggi. Adesso sento che si sta lasciando andare. E questo non mi piace, non mi lascia tranquilla».
C’è uno splendido passaggio, nel libro, in cui Alaa dice quanto sia orgoglioso di far parte della sua famiglia, e quanto sia devoto a Leila come madre e come intellettuale.
Dal canto suo Leila ribadisce ancora una volta: «Io sono totalmente, completamente orgogliosa di Alaa. Mio figlio è una persona fantastica, senza nulla togliere a tutti gli altri. Sono stata sempre impressionata dalla sua intelligenza, finezza di analisi, profondità, lucidità. Siamo stati sempre molto vicini e la distanza fisica non diminuisce il legame che c’è tra di noi». Leila Soueif non ha mai fatto mistero della sua critica ai regimi egiziani e dei presidenti, variamente succedutisi, da Hosni Mubarak all’attuale Abdel Fattah el-Sisi. Sul futuro politico che gli egiziani, come popolo, meritano, dopo tutti questi anni, pensa che trovare una risposta sia ancor più difficile che porre la domanda: «È un Paese che appare stabile ma nel profondo non lo è. E ciò che ci vorrebbe per l’Egitto è una stabilità basata sulla prosperità, ma anche sulla giustizia e sulla libertà. Vivo in un Paese in cui è quasi impossibile definire cosa sia la libertà, essendo limitata. Perché la libertà è difficile da trovare, da raggiungere, quantomeno se viene associata al concetto di libertà di espressione, alla possibilità di diffondere ed esternare le proprie idee. Vivere in un Paese dove l’oppressione raggiunge degli alti livelli non aiuta a definire questo concetto o forse aiuta a definirlo disperatamente nella sua ampiezza. Libertà per me è potere agire sapendo che coloro che amo verranno protetti e non messi in ulteriore pericolo o, peggio, punizione. Ma anche il tema della giustizia è un concetto molto ampio. Per i più essa si completa e definisce in un mondo che non è in terra, è una materia divina, ha a che vedere solo con Dio».
Questa donna e madre coraggio, alla fine giunge ad una sua conclusione e cioè che l’Amore è una forza che tiene insieme tutti i pezzi della nostra vita, che ci conduce al massimo della sopportazione, lì dove non credevi potesse essere possibile, lì dove non sapevi di avere quell’energia. L’amore è la forza creatrice che ci tiene in piedi. È la stessa che tiene ancora in piedi i genitori di Giulio Regeni, ai quali va tutto il suo affetto, l’onore, la comprensione e l’appoggio, per ciò che hanno vissuto e che continuano a vivere. Non trascorre giorno in cui questa donna non pensi a quel padre e a quella madre. Non un solo giorno in cui non senta una comunanza di forza, dolore e ribellione. E per quanto Leila si possa sentire stremata, non ha nessuna intenzione di mollare la presa, perché nessuna minaccia potrà mai scalfire l’amore per suo figlio e la lotta per la sua libertà. La sua e quella di tutti i ragazzi costretti ingiustamente a vivere in una prigione di massima sicurezza, annientati fisicamente e moralmente. Alaa Abd el-Fattah é stato rinchiuso, solo per aver osato esprimere il suo dissenso e indicato come informatico simbolo della rivoluzione del 2011, da allora rinchiuso in carcere senza chiare motivazioni di accusa.
A tutto questo non si può rimanere indifferenti. Siamo tutti Alaa Abd el-Fattah e siamo tutti Leila Soueif, soli senza aiuti di una comunità internazionale sempre più latitante e assente.
di Stefania Lastoria