Morire è femminile, uccidere è maschile.
Ventun anni, gli occhi chiari, i ricci biondi e le gote rosate. E poi un nastro tra i capelli e un viso di bambina. Si chiama Laura, ma per tutti è “Parisina”.
Anche Agnese ha i capelli chiari come i fumi delle nebbie padane: li porta raccolti a scoprire quel suo collo lungo, quel suo profilo dolce. Guarda lontano, Agnese, come se un futuro, uno domani qualunque, le fosse riservato.
Beatrice invece è di tutt’altra pasta, bella ma altera, una donna velata: ha l’occhio obliquo da cerva, il piglio altero di chi sa e la fierezza di chi può.
Parisina, Agnese, Beatrice, tre donne che escono dall’ombra, molto ricche, di cultura raffinata, capaci di poteri delegati, di conduzioni aziendali, di gestioni patrimoniali . Tre donne troppo giovani, troppo belle e troppo colte per morire, e per morire male. Nel breve spazio di un trentennio tutte e tre perdono la testa per un uomo e perdono la testa per sempre, tutte e tre accusate di adulterio, tutte e tre sommariamente giudicate, tutte e tre decapitate. Sarà solo per una coincidenza, per un capriccio del caso che tra il 1391 e il 1425 ben tre mogli di potenti signori –Agnese Visconti, Beatrice di Tenda, Parisina Malatesta- sono state fatte giustiziare dai loro rispettivi mariti? E’ una domanda che si risponde da sé: no, non c’è casualità nella consequenzialità di tre morti gemelle, di tre vite tagliate al servizio della nascente Signoria.Il potere maschile si consolida facendo morire le donne sul far del giorno negli stessi cortili dei palazzi dove avevano vissuto da spose. Niente è legale, tutto ha il sapore di una resa dei conti familiare. Agnese, Beatrice, Parisina non sono antesignane del femminismo, ma è fuori di dubbio che queste morti non sarebbero accadute se le tre donne non ne avessero posto in qualche modo le premesse cercando di esercitare un peso all’interno dei palazzi, di rivendicare un diritto ad esistere e a godere di qualche libertà. Accusate di presunto adulterio, o colte in flagrante con l’amante, avrebbero potuto essere ripudiate o chiuse in un convento, comunque aver salva la vita. Le loro morti, intenzionalmente volute a restaurare una lesa maestà, non restarono chiuse nell’ombra in cui erano avvenute. Tutti i contemporanei ne furono subito messi al corrente, perché da sempre essere traditi dalla moglie va a disonore del maschio. L’esecuzione capitale dell’adultera è ritenuta non solo obbligata, ma è anche necessario darne la più ampia pubblicità, come se la vendetta del marito non procedesse dall’odio ma fosse “necessaria”.
La storia cambia, va avanti, progredisce, non sempre verso il meglio considerando la “progressione” di femminicidi da allora fino ad oggi. Morire è femminile, uccidere è maschile: un modello di antropologia popolare italiana che non riusciamo a scrollarci di dosso.
di Daniela Baroncini