In Afghanistan donna stuprata nelle carceri dei taleban per aver osato protestare

Violentata ripetutamente in cella come punizione per aver manifestato contro i taleban. E poi filmata, torturata e infine minacciata di diffondere le immagini di lei, nuda, in balìa di due uomini armati, che le ingiungono di mostrare il volto alla telecamera del cellulare di uno di loro. È l’orrore subito da una attivista per i diritti umani in Afghanistan, mentre si trovava in custodia nelle patrie galere, arrestata per aver partecipato a una manifestazione anti-regime.

Ormai da tempo si parlava di violenze contro le detenute ma questa è la prima volta che si viene in possesso di prove. Ed è il britannico The Guardian a raccontare sul suo sito internet, ciò che i suoi cronisti hanno potuto visionare.

E’ stata la stessa donna, fuggita all’estero, a confermare al Guardian le violenze subite: il video le è stato inviato, con la minaccia di recapitarlo alla sua famiglia e pubblicarlo sui social media se avesse continuato a criticare pubblicamente l’Emirato islamico.

Perché farlo vedere alla famiglia e renderlo pubblico renderebbe la donna disonorata, allontanata dai suoi cari, in pratica si passa da vittima a persona da denigrare.

Pochi giorni orsono lo stesso Guardian aveva pubblicato notizie riguardanti adolescenti e donne molto giovani che hanno dichiarato di essere state molestate sessualmente e picchiate selvaggiamente dopo essere state fermate e portate in galera perché non rispettavano le rigide norme sul velo islamico introdotte dagli “studenti coranici” dopo la presa di potere del Paese, nell’agosto 2021.

Si sa di casi di donne letteralmente sparite, scomparse dopo essere state prese in custodia dai taleban. In almeno un caso, il corpo di una di loro è stato ritrovato dopo settimane in un canale con evidenti segni di violenza sessuale.

Un’altra ragazza si è impiccata in casa dopo essere stata rilasciata, per la vergogna e per lo stigma sociale che accompagna la violenza.

Tra gli autori dell’articolo-denuncia del Guardian si nota la firma di Zahra Joya, una giovane giornalista afghana espatriata a Londra e fondatrice di un network informativo costituito da sole donne, Rukhshana Media, ancora attivo in modo anonimo in Afghanistan.

Ebbene le giornaliste di Rukhshana Media hanno sentito diverse attiviste e manifestanti.

Una di loro, Zarifa Y., 30 anni, ha raccontato di essere stata imprigionata per 41 giorni nel novembre 2022, mentre cercava di organizzare un movimento femminile di protesta nel Paese.

In carcere ha subito elettroshock e frustate ed è stata torturata finché non avesse confessato di aver preso soldi dagli stranieri per protestare contro i taleban.

Purtroppo di storie come queste ce ne sono a migliaia, aleggiano nel buio, nel silenzio, in urla senza voce, perché non si sappia, perché tutto possa rimanere nei loro folli confini geografici e mentali.

Ma ormai ci sono i dati che parlano, ci sono i video, le testimonianze.

Il regime ha sempre negato le accuse di una diffusione delle violenze sessuali sulle detenute. Un portavoce del ministero del Vizio e della virtù all’inizio di gennaio ha però detto che le donne fermate «violavano i valori e i rituali islamici. Coloro che circolano senza hijab saranno arrestate».

Oltre a perdere l’accesso all’istruzione e al lavoro, le donne ora affrontano crescenti minacce di violenza di genere e gravi restrizioni ai loro diritti alla libertà di movimento, libertà di riunione e di espressione, compresa la scelta dell’abbigliamento.

Nonostante l’instabilità politica e i conflitti, le donne afghane avevano ottenuto molto negli ultimi 20 anni, ora, sotto le attuali autorità talebane si trovano ad affrontare la realtà di aver perso tutto e di essere sottoposte ad ogni forma di violenza e angheria.

La comunità internazionale si è assunta diversi impegni per continuare a sostenere i diritti delle donne in Afghanistan.

Forse è giunto il tempo di tradurre queste parole in azioni.

Stefania Lastoria