In Egitto esistono tanti, troppi come Regeni. La sparizione di Mustafà e Hassan
Il 3 febbraio scorso è stato il secondo anniversario del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni. E il governo egiziano ha pensato di “festeggiare” la ricorrenza facendo sparire altre due persone. Si tratta di due egiziani, Mustafa Al-Aasar e Hassan Al-Banna, entrambi venticinquenni. Il primo è un ricercatore del Regional Center for Human Rights and Freedoms, il secondo un correttore di bozze per il quotidiano Al-Shourouk. Pochi giorni prima, il fratello di Mustafa aveva ricevuto una telefonata in cui una voce dall’altro capo gli intimava di dirgli di smetterla con i suoi post anti regime su Facebook. Dai tabulati telefonici è emerso che l’ultima cella agganciata dai telefoni dei due giovani era quella della caserma della Sicurezza Centrale di Giza, da dove di solito i prigionieri politici vengono trasferiti ad altre sedi per ulteriori accertamenti. E infatti due giorni dopo si è scoperto che erano stati portati nella sede della Sicurezza Nazionale di Sheikh Zayed, famosa per le torture e gli abusi che vi si compiono.
Nell’Egitto di Al-Sisi i “desaparecidos” si contano ormai a migliaia. E più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Tant’è vero che il governo ha dovuto costruire 19 nuove prigioni, dando saggio di estremo dinamismo in tema di edilizia carceraria. Quando il generale egiziano prese il potere nel 2014 era chiaro come sarebbe andata a finire. Militari e diritti umani raramente vanno d’accordo. Non solo le esperienze passate dell’America Latina, ma anche le numerose giunte che negli anni si sono succedute nei paesi dell’Africa subsahariana dovrebbero insegnare. Insomma Giulio è stato solo uno dei tanti, e migliaia di famiglie hanno vissuto o stanno vivendo il dramma della famiglia Regeni.
di Valerio Di Marco