La religiosa Anne-Marie Salomon, medico tra i tuareg e i pastori del Mali

«Resto nell’Ordine dei medici francesi e posso prescrivere».

Suor Anne-Marie lo conferma con calma, mentre un brillio di fierezza le traversa lo sguardo. Appena un guizzo, subito in dialogo con i riflessi della tunica africana che indossa, d’un lilla chiaro, secondo un’abitudine ormai immutabile. Ma al suo cospetto, si colgono sempre facilmente tutti i segni di una volontà di ferro.

A un’età non così lontana dalle tre cifre, suor Anne-Marie Salomon guida ancora per le strade della regione parigina, dov’è divenuta nel frattempo l’anima della struttura collettiva in cui abita e ci riceve, continuando sempre a sostenere a distanza gli studi di un centinaio di ragazzi nella ‘sua Africa’, che è una porzione saheliana di savana semidesertica a nord del Mali, dove convivono Tuareg, allevatori transumanti Peul e commercianti più occidentalizzati, spesso di passaggio per approfittare del raro ampio specchio d’acqua locale.

Nella mitica regione di Timbuctu, nessuno può dimenticare suor Anne-Marie, divenuta una figura essenziale e leggendaria: il  «medico dei nomadi» che nel 1987 ha fondato a Gossi e poi diretto per decenni l’unico ospedale nel raggio di 200 chilometri, creando pure diversi dispensari nei dintorni.

Della Legion d’onore ricevuta dalla République, la religiosa pare curarsi poco. Ad allietarla sono soprattutto gli studi dei ‘suoi’ ragazzi, con i quali comunica quotidianamente tramite i social.

Per suor Anne-Marie, quella da ‘medico dei nomadi’ è stata in realtà una «seconda vita». Alquanto improbabile, fra l’altro, come ricorda: «Fu mia madre a mettermi sulla strada della fede. A 6 anni, ero tanto attirata dai diaconi e dalla vita religiosa, ma avendo un papà medico, sognavo di fare lo stesso, in campagna, fino a comprendere che non era affatto facile in Francia. Mi sono portata dentro sempre queste due idee.

Alla fine scelsi di dire addio alla medicina, entrando nella Congregazione del Ritiro, di spiritualità ignaziana, dedita all’insegnamento. Poi, con il tempo, la congregazione si orientò ancor più verso i poveri. Allora, dopo tanto insegnare, ripescai un giorno il mio secondo vecchio sogno rimasto in un limbo. E nonostante avessi già 45 anni, in modo sorprendente, le mie consorelle mi permisero di studiare a tempo pieno per partire in Africa. La madre superiora mi disse: ‘Se resti anche solo 10 anni lì, sarà un successo’». La stessa madre superiora le parlò un giorno proprio del Mali.

Con la gente del Nord maliano, fu un vero colpo di fulmine, a dispetto dei fossati d’ogni tipo: culturali, linguistici, religiosi, di mentalità: «Arrivata sul posto, ben presto, decisi di lavorare direttamente con la gente. Anche perché ero rimasta colpita, durante un precedente soggiorno in Camerun, dal comportamento di missionari che non mi sembravano rispettosi degli autoctoni.

Dapprincipio, ritrovarsi davanti a un medico donna spiazzava tanti. Anche perché per alcuni, sul posto, le donne sono solo ‘borse per far figli’».

Ma anno dopo anno, con fede e tenacia, suor Anne-Marie ha polverizzato gli stereotipi, illustrandosi pure come «femminista». Parola che la suora non disdegna: «Compresi subito che dovevo occuparmi molto delle donne, dato che i bisogni più diffusi riguardavano, oltre alla pneumologia, anche e forse soprattutto la ginecologia. Con degli stage specifici, mi preparai dunque meglio in queste due branche».

Fra i flagelli locali trattati nell’ospedale, al ritmo di circa 30mila pazienti all’anno, anche malaria, tubercolosi, Aids, affezioni oculari, malnutrizione infantile. Un presidio del deserto che ancor oggi la religiosa supervisiona a distanza. Tanto da rifiutare ad esempio il sostegno proposto da certe grandi Ong. Distribuire pesci è bene, ma mettere in mano una canna da pesca è meglio: «Le Ong funzionano per progetti. Quando i fondi terminano, se ne vanno. Ma così, non guadagni la fiducia della gente. Io ho sempre dato quanto mi veniva chiesto. Per questo, ho anche deciso di formare i locali, come una donna divenuta infermiera e levatrice esperta, pur senza diplomi.

Ci ha tanto aiutato a vincere la diffidenza delle pazienti. Con lei, eravamo pure quasi delle psicologhe. Quando mancava, prendevo, come intermediario e interprete, un anziano molto rispettoso e rispettato, che ci ha aiutati ad approcciare i Peul».

I Pelu sono gli allevatori nomadi spesso diffidenti, anche perché ostracizzati non di rado dai gruppi più sedentari.

Sul filo dei ricordi, suor Anne-Marie ci racconta di notti passate sul freddo suolo desertico. Di giornate avventurose e non prive di rischi, in una regione oggi ancor più segnata da tensioni, anche in chiave terroristica. Un’evoluzione che tanto addolora la religiosa, considerata ormai da molti un gioiello d’abnegazione cristiana oltre ogni frontiera.

E ancora sul finale, questa eroica donna, ci racconta: «Non ho mai calcolato. Sono partita e ho trovato lì ciò che portavo in cuore fin da bambina. Offrire la mia vita per gli altri con molta libertà. Anche da qui, resto con loro. È la mia famiglia. Prima di tutto, hanno pacificato me, anche nella mia relazione con Dio».

Stefania Lastoria