Il caso di Lidia Vivoli: lo Stato tutela davvero le donne vittime di violenza?

In Italia, secondo le stime, ogni 72 ore una donna muore uccisa da un uomo. I dati sono allarmanti, e nonostante l’approvazione di leggi e normative specifiche i casi di femminicidio non accennano a diminuire.

“Denunciate”, si sentono ripetere le donne alle prese con uomini violenti. Ma siamo certi che la segnalazione alle autorità giudiziarie di reati-spia quali maltrattamenti, stalking e violenze di vario tipo, metta al riparo le donne dai loro aguzzini? Purtroppo la realtà è un’altra e il caso di Lidia Vivoli induce a riflettere.

Lidia, palermitana, è sopravvissuta a un tentato omicidio nel 2012. Il suo compagno, durante una notte come tante al suo fianco, in un raptus di gelosia ha provato ad ucciderla, aggredendola in maniera brutale con una padella di ghisa, pugnalandola con un paio di forbici e tentando di soffocarla con i fili elettrici. L’ha abbandonata in una pozza di sangue, ma lei è sopravvissuta e ha cominciato una lunga battaglia per assicurare alla giustizia il suo ex-compagno. Quest’ultimo è stato in carcere per 5 mesi, e non appena rimesso in libertà ha tramutato la sua ossessione per la “donna amata” in vero e proprio stalking. Lidia ha nuovamente denunciato il suo persecutore, che è stato condannato in via definitiva a 5 anni e che oggi, dopo aver scontato la sua pena, si trova in custodia cautelare in attesa di un nuovo processo in cui Lidia dovrà ancora essere ascoltata, interrogata e giudicata.

Il suo ex compagno ha promesso di ucciderla e adesso che Lidia è riuscita a rifarsi una vita con un altro uomo ed è madre di due gemelli, sulla sua quotidianità grava l’ombra del suo aguzzino.

In una recente intervista alla Vita in Direttaha detto: «noi diventiamo oggetti nelle mani di queste persone. Non vivi più, hai il terrore di qualsiasi cosa (…) passano troppi anni prima del processo, loro sono liberi di minacciarci e ucciderci. Bisogna tutelare le vittime, non giudicarle o vessarle. Non è mai colpa della donna. Io ho paura di tutto, perché vivo in una società che colpevolizza la vittima».

Denunciare i casi di violenza è un passo importantissimo, e persino Lidia Vivoli ha lanciato una petizione su change.orgper chiedere l’allungamento dei tempi per segnalare casi di maltrattamenti, pensando a tutte quelle donne che per timore o vergogna lasciano trascorrere mesi prima di trovare il coraggio di uscire allo scoperto.

Ma denunciare non è abbastanza e lo Stato si rende complice, con la sua scarsa incisività legislativa, dei femminicidi che affollano le pagine dei nostri giornali. Massima protezione ai pentiti di mafia e scarsa tutela per le donne vittime di violenza: bisognerebbe riflettere di più su questa dura realtà.

di Vittoria Failla

 

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