Scontro politica-magistratura: non spruzzeranno profumo nei loro obici

Tavani

Più si avvicina la data del referendum costituzionale, più è destinato ad acuirsi lo scontro tra magistratura e politica, quella dell’attuale governo in particolare. Ne abbiamo scritto più volte su Stampa Critica: la combinazione tra la riforma elettorale – Italicum – e quella costituzionale conferirà al governo un esorbitante potere di maggioranza, tale da permettergli anche la nomina dei membri della Corte Costituzionale (Consulta) e del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm). Non solo tale aspetto appare intollerabile alla classe togata, ma anche il fatto che la riduzione degli spazi di minoranza parlamentare, ridurrà oggettivamente pure l’incidenza di inchieste giudiziarie riguardanti una classe politica che continua a delinquere.

Il recente caso sollevato dalla intervista-colloquio rilasciata, il 5 maggio scorso, da Piergiorgio Morosini, Conigliere del Csm, alla giornalista Annalisa Chirico de Il Foglio, è la classica scintilla scoccata in un ambiente saturo di gas.

Una scintilla neanche poi tanto casuale. È vero, infatti, che non si è trattato di una vera e propria intervista ma di una fluente conversazione che la giornalista può aver sintetizzato pro domo sua. Altrettanto innegabile, però, che Morosini quella conversazione l’ha sollecitata lui. Ora, essendo Morosini un navigato membro di Magistratura Democratica, non gli poteva certo sfuggire che stava rilasciando dichiarazioni a un quotidiano ieri filo-berlusconiano, oggi filo-renziano e nazzareno, e che la giornalista in questione è noto sia sentimentalmente legata a un personaggio pubblico che il Presidente del Consiglio voleva nominare ministro dello sviluppo economico al posto di Federica Guidi, dimessasi proprio a causa di un’inchiesta giudiziaria. Così quel titolo scorrettamente virgolettato “Perché Renzi va fermato” può stupire fino a un certo punto. La smentita del Consigliere era d’obbligo, ma sposta di poco il baricentro dello scontro.

Prima Piercamillo Davigo dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm), il sindacato interno di tutte le varie correnti della magistratura associata, poi Piergiorgio Morosini, con ben più elevato incarico istituzionale nel Csm, la scintilla volevano farla scoccare eccome e pure appiccare il fuoco alle polveri. La posta in gioco è troppo elevata e, in ogni caso, tatticamente conviene – proprio nel caso di vittoria referendaria governativa – configurare in avanti i rapporti di forza a proprio vantaggio, come dimostra il fatto che Renzi e il ministro di giustizia Orlando stanno cercando di raggiungere un compromesso con la magistratura su intercettazioni e prescrizioni.

La polemica è subito divampata attorno a un tema già di per sé bruciante, ossia se sia lecito che i magistrati partecipino direttamente alla campagna elettorale. Il Consigliere Morosini, infatti, ha dichiarato – o almeno così è riportato nel pezzo di Annalisa Chirico – che lui ha già segnalato – al Comitato per il No di Pace e Rodotà – le date della sua disponibilità a intervenire pubblicamente. Afferma, inoltre, esserci, tra molti togati, una divisione dei compiti per la copertura territoriale della campagna. A lui spetterebbero Lazio, Sicilia ed Emilia Romagna. Immediatamente scatta la risposta del Vice-Presidente del Csm, Giovanni Legnini, il quale – in un’intervista dell’8 maggio a Sky Tg 24 –, afferma che è fatto divieto ai magistrati di partecipare alla campagna politica referendaria. Il contenuto delle sue affermazione pare ovvio sia stato concordato con il Presidente del Csm, ossia con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

L’invito alla cautela, rivolto ai magistrati da Legnini e anche dalla corrente togata moderata Unicost, è stato immediatamente battuto in breccia – proprio lo stesso giorno – da una lettera a la Repubblica del Procuratore di Torino Armando Spataro, nella quale si ribadisce la piena legittimità della partecipazione alla campagna per il No da parte della magistratura, avendo lui stesso apertamente partecipato – in ogni suo week end libero – a quella che portò nel giugno del 2006 alla bocciatura della riforma Berlusconi, con il 61% dei No e oltre 25 milioni di partecipanti.

Come si vede gli obici sono stati già ben caricati. Non sarà certo il gesto di spuzzarvi dentro del profumo, come prima di andare a un pranzo di gala, ad attutirne l’impatto. Anzi, il contrario, poiché questo rischia di finire negli occhi ad accecare ancora di più la vista. Di una cosa, però, siamo certi che qualunque sia l’esito del referendum, ci sarà magari una pausa, non certo la fine dello scontro. Una tregua, appunto, intesa quale pausa tra una guerra e l’altra, secondo la nota definizione di Primo Levi. Avremo modo così di riparlarne – appena diradate le colonne di fumo del referendum.

di Riccardo Tavani