Se un numero sconosciuto chiama il Cine Fest di Spagna a Roma

Tavani

Si è svolta in questi giorni la nona edizione del Festival del Cinema Spagnolo a Roma organizzato da Iris Martín Peralta e Federico Sartori di Exit Media Distribuzione e curato dall’Ufficio Stampa Reggi&Spizzichino Communication. Un evento cittadino che ha registrato un decisivo aumento di interesse e di afflusso di pubblico. Lunghe le file che hanno attraversato tutta la Piazza di Campo de’ Fiori tra una proiezione e l’altra. Le opere presentate, relative all’ultima stagione cinematografica ispanica, sono state anche molto diverse tra loro ma accomunate da una spiccata qualità cinematografica. Una retrospettiva è stata dedicata alla grande attrice spagnola Marisa Parades, presente al Cinema Farnese Persol, in una serata di omaggio e d’affetto che il pubblico romano e il Festival le hanno dedicato a sua conclusione.

I catalogo è questo: Güeros, del messicano Alonso Ruizpalacios, Magical Girl, di Carlos Vermut, El Hombrde Que Quiso Ser Segundo, di Ramón Alòs, Hablar, di Joaquim Oristell, El desconocido, di Dani del Torre, A cambio de Nada, di Daniel Guzmán, Isla Bonita, di Fernando Colomo, il Woody Allen Spagna. Campione di afflusso è stato Truman, di Cese Gay, insieme alla riproposta dell’azzeccatissimo film di Alberto Rodríguez La Isla Minima, del quale abbiamo già parlato nel numero 24/2015 di Stampa Critica. Il Festival sta sbarcando a Milano con una sua replica dal 27 maggio prossimo.

Prendiamo uno di questi titoli che combina insieme il genere action movie con una bruciante tematica d’attualità. Si tratta di El desconocido, “Lo sconosciuto”, di Dani de la Torre. Il titolo si riferisce a una molto comune esperienza quotidiana: la chiamata al cellulare di un numero sconosciuto. Solo che questa volta a chiamare Carlos, il protagonista, è uno sconosciuto che gli ha piazzato una bomba sotto i sedili dell’auto. Carlos è il direttore di una filiale bancaria, sta accompagnando a scuola la figlia e il figlio, seduti sui sedili posteriori. Lo sconosciuto lo informa che la bomba s’innesca ed esplode appena uno di loro si alzerà dal suo sedile e che lui controlla tutto in remoto tramite il suo cellulare. Se Carlos vuole evitare l’esplosione, deve immediatamente versare su un conto scritto in un foglio lasciato all’interno dell’abitacolo la bella cifra di 488.000 €, di cui 67.000 en metálico, ossia in contanti.

La storia del cinema è ricca di film al cardiopalma fondati su questo meccanismo d’innesco esplosivo a tempo. Qui è magistralmente giocato anche l’altro ingrediente indispensabile a questo tipo di vicenda, ossia il fatto che la situazione si complica per il protagonista fino alla follia. Anzi, qui è lo spettatore stesso che si sente schiacciato dentro la pressione crescente cui è sottoposto Carlos, fino quasi a esplodere noi. Questo film, però, mette in gioco un’importante novità nel genere: ci sentiamo schiacciati sulla sedia non tanto per un’immedesimazione empatica con il protagonista, ma perché tutta la vicenda de te fabula narratur. Carlos è il direttore della filiale di una banca che ha venduto titoli tossici ai suoi clienti, rovinandone molti e spingendone alcuni anche al suicidio. Il ricattatore è un ingegnere chimico derubato fino all’ultimo centesimo con la giovane moglie, gettatasi giù da una finestra. È una realtà drammatica del nostro presente non solo in Europa ma in tutto l’Occidente. La bomba a tempo innescata non è tanto sotto i sedili dell’auto di Carlos, quanto sotto le colonne stesse della nostra intera civiltà. C’è una scena magistrale, quando l’auto, con a bordo Carlos e il suo ricattatore, finisce sulla banchina di un molo portuario, in mezzo a una folla spensierata, appena scesa da un transatlantico, mentre il timer dell’innesco esplosivo precipita vertiginosamente verso lo zero. Quella gente siamo tutti noi – in questo preciso istante.

di Riccardo Tavani

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