Lotta alle mafie. Ricordando Cosimo Cristina, giornalista “suicidato” da Cosa Nostra

Barbara

Giovanissimo cronista del quotidiano “L’Ora”, per anni si credette ad un suicidio. La riapertura dell’inchiesta nel ’99 permise di risalire alla verità.

Il 5 maggio ricorre la giornata in ricordo di Cosimo Cristina, giornalista di Termini Imerese ucciso per mano di Cosa Nostra. O meglio, “suicidato”, come si suol dire per le morti inscenate dalla mafia. Giovane palermitano, nonché ambizioso e tenace cronista, Cristina dirigeva il settimanale Prospettive Siciliane, di cui era fondatore e con cui raccontava le fitte trame dell’illegalità nei traffici fra Termini e la vicina Caccamo. Cosimo Cristina aveva il coraggio di raccontare quello che gli altri quotidiani non dicevano, lo faceva con la sua penna in inchieste taglienti. Come quella su l’omicidio del sindacalista Salvatore Carnevale e del sacerdote Pasquale Culotta, avvenuta a Cefalù nel 1955. La storia di Cosimo Cristina, come quelle di tanti altri giornalisti italiani, fu taciuta e “confezionata” accuratamente dalla criminalità organizzata del palermitano. Infatti, come fu per Peppino Impastato, anche per Cristina la mafia tentò di camuffare l’omicidio del giovane cronista, spacciandolo per un suicidio. Una morte in cui ogni aspetto fu accuratamente studiato per risultare granitico, per scagionare i mandanti e comprovare la pista del suicidio perfino nell’autopsia, conducendo sistematicamente all’archiviazione del caso. Peccato che quell’autopsia, al momento del ritrovamento del corpo, non fu fatta. Si dovette aspettare bensì 6 anni, per tener buona la sete di risposte. In ogni caso, anche nel 1966 l’autopsia diede esito apparentemente indiscutibile: suicidio. Il silenzio che scese su Cosima Cristina, però, si protrasse fino al 1999, quando il giornalista catanese Luciano Mirone riesumò le indagini. Secondo i verbali, erano circa le 11 del mattino del 3 maggio 1960, quando Cosimo Cristina uscì da casa vestito di tutto punto, con il solito cravattino che lo contraddistingueva. Dopo due lunghissimi giorni, il cadavere del giovane cronista fu trovato alle 15.35 del 5 maggio, lungo la strada ferrata della linea Palermo-Messina, tra le stazioni di Termini Imerese e Trabia. A distanza di 33 anni dall’autopsia, grazie alle indagini Mirone evidenziò un aspetto risolutorio del caso, ovvero che nel 1966 il Vice Questore di Palermo, Angelo Mangano, aveva stilato a suo tempo un rapporto esplosivo, neutralizzato però dall’esito autoptico. All’interno del rapporto, Mangano sosteneva che il cronista era stato ucciso in un luogo e deposto sui binari per simulare il suicidio. Fu così che si appresero i mandanti dell’omicidio, ovvero il Consigliere della Democrazia Cristiana, Agostino Rubino (uno dei capimafia di Termini) e il boss Santo Gaetadi, poi entrambi scagionati. Oggi, la battaglia per la legalità di Cosima Cristina rivive grazie a chi la ricorda. Per non farla abissare nuovamente nel silenzio, su iniziativa della rivista Espero, del Comune di Termini Imerese e dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, il 5 maggio 2010 è stata collocata una lapide nel luogo in cui fu rinvenuto il corpo. Un affronto a Cosa Nostra, ma anche una piccola vittoria a chi ha provato ad abbattere la voce della giusta informazione. Una voce che ancora, simbolicamente, riecheggia nel tempo.

di Barbara Polidori

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