Alfredino Rampi. Indimenticabile
«Volevamo vedere un fatto di vita, e invece abbiamo visto un fatto di morte». Le parole di Giancarlo Santalmassi, ad oggi direttore responsabile di Radio24, racchiudono tutta l’apprensione di un’intera nazione che, in quel caldo giugno dell’‘81, per quasi due giorni trattenne il fiato nella speranza di assistere a un lieto fine. Sì, perché la sorte di Alfredino Rampi, 6 anni appena ma suo malgrado prigioniero di un pozzo in aperta campagna, andò in onda a reti unificate, dando vita alla diretta più lunga della storia.
Tutto era iniziato il 10 giugno, quando di ritorno da una passeggiata tra i campi di Vermicino in compagnia del padre e amici di costui, Alfredino chiese e ottenne il permesso di tornarsene da solo: tanto piccolo quanto già autonomo. Erano all’incirca le 8 di sera e il buio cominciava a calare su quei terreni alle porte di Roma: un po’ l’oscurità, un po’ l’incuria, il bimbo scivolò in un pozzo largo 30 centimetri e profondo 80 metri.
Preoccupato dall’assenza del figlio, intorno alle 21.30 il signor Ferdinando allertò le forze dell’ordine, ma fu la nonna a suggerire la soluzione del caso: Alfredino doveva essere caduto in quel pozzo recentemente scavato per edificare una nuova abitazione. Tale suggerimento, tuttavia, venne clamorosamente snobbato dopo che il pozzo fu trovato coperto da una lamiera e da alcuni sassi. Fu invece un agente di polizia, il brigadiere Giorgio Serranti, a prenderlo in considerazione e a ordinare l’ispezione dettagliata della cavità, infilando la sua stessa testa all’interno.
L’intuizione si rivelò esatta: Serranti udì i flebili lamenti di Alfredino e diede il via alle operazioni di recupero, che coinvolsero medici, speleologi, tecnici Rai e semplici volontari. Tra questi il coraggioso Angelo Licheri, che complice la sua esile stazza si fece calare nel pozzo riuscendo ad agganciare il bambino, ma fallendo nel tentativo di allacciargli l’imbracatura, che per ben tre volte si aprì; l’uomo tentò allora di prenderlo per le braccia, ma Alfredino scivolò ancora più in profondità, passando da una profondità di 36 metri a una di 60.
Fu lì che tramontò anche l’opzione di scavare un cunicolo parallelo al maledetto buco nero: una scavatrice si bloccò infatti pochi istanti dopo la sua accensione. Sembrava davvero che qualcosa di magicamente oscuro celasse ogni operazione di salvataggio, alla quale ora stava assistendo anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Il 13 giugno, dopo circa 60 ore di lavoro e qualcosa in meno di diretta tv, si sparse la voce della probabile morte del piccolo, poi confermata in seguito. Dirà al riguardo ancora il giornalista Santalmassi: «Ci siamo arresi, abbiamo continuato fino all’ultimo. Ci domanderemo a lungo prossimamente a cosa è servito tutto questo, che cosa abbiamo voluto dimenticare, che cosa ci dovremmo ricordare, che cosa dovremo amare, che cosa dobbiamo odiare. È stata la registrazione di una sconfitta, purtroppo: 60 ore di lotta invano per Alfredino Rampi».
Il corpo del piccolo fu recuperato solo un mese dopo la sua morte. Sempre successivamente, si scoprì che il proprietario del terreno in cui giaceva il pozzo aveva ricoperto la fessura con la lamiera intorno alle 21, non immaginando minimamente che potesse esservi qualcuno dentro. Ignorando, cioè, che Alfredino ci fosse caduto appena pochi minuti prima.
di Massimo Salvo