Sulla mia pelle
Vedetelo in una sala cinematografica, vedetelo su Netflix, ma vedetelo. Sono ormai nove anni che sentiamo parlare del caso Cucchi, ma quasi nessuno conosce la nuda cronologia dei fatti. Dalla sera del suo arresto in strada alla sua morte una settimana dopo nel reparto carcerario dell’ospedale Pertini di Roma. Il film di Alessio Cremonini “Sulla mia pelle” ricostruisce passo per passo questa scarnificata cronologia, restituendo al tempo stesso la sordida, lenta crocifissione di un povero cristo di ragazzo epilettico ed ex drogato nelle mani di strutture organi, strutture giudiziarie, carcerarie, ospedaliere di uno Stato il cui obbligo era quello di tutelare sulla sua incolumità. Quell’anno, invece, Stefano Cucchi è stato il centoquarantottesimo morto nelle mani della giustizia e delle carceri italiane. Una statistica che ogni anno si ripete nella agghiacciante inesorabilità. “L’Italia – come ripeteva sempre Marco Pannella, che di carceri ne ha visitate molte e per molti anni – è uno stato tecnicamente non solo delinquente ma anche recidivo”.
Il film è stato presentato come opera d’esordio nella sezione “Orizzonti” della recente Mostra di Venezia. Pur essendo di grande forza politica e impegno civile è anche tremendamente valido per qualità precipuamente cinematografica. La scarsezza della sceneggiatura, delle battute di dialogo, delle inquadrature viene a costituire poco alla volta – più per sottrazione che per aggiunte – un sistema dalla rara potenza iconica, d’immagine cinematografica. La voce e le frasi di Cucchi si assottigliano e si frammentano strascicanti a ogni nuova scena, sequenza. L’interpretazione magistrale di Alessandro Borghi non poteva rendere con maggiore drammaticità e autenticità questa silenziosa tortura, scarnificazione, ossia toglimento di carne, corpo a un pur atletico ragazzo che praticava la boxe. per mezzo di crudeltà, indifferenza, cinismo poliziesco e amministrativo.
Il film è in questi giorni sia nei cinema che sulla piattaforma web di Netflix. Un’offerta che ha fatto anche discutere, perché toglie spettatori alle sale già da tempo in crisi, per la vecchia concorrenza della TV e quella nuova della rete. Una polemica che ha investito lo stesso film vincitore della Mostra di Venezia, “Roma” di Alfonso Cuaron, ambientato nell’omonimo quartiere di Città del Messico. Anche questo film sarà distribuito su Netflix, con grande polemica di distributori, esercenti di sale, autori non solo italiani.
Polemiche e proteste che hanno le loro valide ragioni, ma nelle quali non compete qui entrare nel merito. Diciamo soltanto che nel caso di questo film, se la diffusione su piattaforma web può essere utile a farlo vedere a un numero maggiore di persone, soprattutto di giovani, allora può e deve essere accettata questa nuova modalità di fruizione di un film, perché l’opera è veramente in grado di penetrare nella comprensione e nella sensibilità di chiunque lo guardi. Un bilancio che è ancora presto per essere tratto, essendo il film uscito solo questo 13 settembre.
Da parte di Stampa Critica, essa non può che fare interamente propria un’opera che per forma, contenuto, impegno civile e artistico rappresenta lo stesso tipo di impegno pubblico che la redazione da anni esercita sul piano dell’informazione e della comunicazione.
di Riccardo Tavani