Boris Giuliano: un poliziotto a Palermo

il 21 luglio 2019, è stato il giorno  del 40esimo anniversario dell’omicidio di Boris Giuliano, Capo della Squadra Mobile di Palermo, ucciso dalla mafia dentro il Bar Lux di via Francesco Paolo Di Blasi, il 21 luglio del 1979. Ecco chi era il poliziotto “americano”, investigatore moderno che rivoluzionò il lavoro della Squadra Mobile di Palermo, preparando la strada al pool di Chinnici, Falcone e Borsellino.

Era una persona gentile, di una ricchissima umanità. Era caparbio, era diverso, riusciva ad avere con sé la severità dell’investigatore scelto, ma allo stesso tempo una grande umanità e una grande disponibilità. Era un investigatore a 360°, un investigatore senza pari.

Fu un brillante investigatore dal carattere determinato, con molte energie, con alto senso del dovere e doti professionali non comuni. Poliziotto dal grande fiuto investigativo, formatosi negli Stati Uniti dove strinse rapporti con l’FBI.
Uomo e funzionario valoroso, consapevole dei pericoli cui andava incontro operando in un ambiente caratterizzato da intensa criminalità, si prodigava instancabilmente nella sua opera.

Una grande mente investigativa, una capacità di previsione, di analisi, di mettere in piedi un metodo investigativo, diresse le indagini con metodi innovativi e determinazione.

Oggi quelle sue parole sono di attualità, ma siamo nel 2019, pensare che una grande mente investigativa le avesse pensate e dette negli anni ’70, dà l’idea dello spessore, della caratura, dell’uomo e del poliziotto.
Pensare che è stato ucciso in quegli anni da mano mafiosa, una mano mafiosa tracotante, arrogante che seminava violenza è veramente triste, ma è consolatorio e dà conforto che dopo 40 anni, ancora vivo è il ricordo, dopo 40 anni si ricorda ancora con fierezza quel poliziotto, quell’uomo, davanti a una Palermo che è riuscita a mettere in ginocchio “Cosa Nostra”.

Boris Giuliano, dirigente della Squadra Mobile, venne ucciso il 21 luglio di 40 anni fa a Palermo. Venne freddato alle spalle da Leoluca Bagarella con sette colpi di pistola. Mancano cinque minuti alle otto del mattino del 21 luglio del 1979, quando varca la soglia del portone di casa. Si ferma a parlare col portiere, al quale consegna una busta con i soldi dell’affitto di casa, poi si dirige verso un bar poco distante, quasi una cinquantina di metri. Cammina Giuliano, cammina dritto senza voltarsi, senza guardarsi attorno. Giunto con passo deciso fin dentro al bar, ordina al banconista un caffè. Accenna con il capo un saluto al cassiere e si avvicina al banco, accanto un paio di avventori. Non fa in tempo a berlo quel caffè. Un killer solitario, attese che Boris Giluiano entrasse come ogni mattina nel bar sotto casa e fece fuoco. A viso scoperto, spara alla testa da distanza ravvicinata. Abile tiratore, Giuliano non ha neanche il tempo di reagire, cade a terra fulminato, morì sul colpo a soli 48 anni, mentre il killer si dilegua favorito dai complici.

Una calda mattina di luglio, quel giorno il sole è splendido, un funzionario dello Stato, entrato in polizia all’inizio degli anni Settanta e subito impegnato in delicatissime indagini, prima come capo della Omicidi e poi come capo della Mobile, su alcuni delitti come quello dei giornalisti Mauro De Mauro e Mario Francese, del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e del segretario provinciale della DC Michele Reina, con l’altissimo senso del proprio ruolo, soprannominato dai suoi stessi collaboratori “lo sceriffo”, era certamente un poliziotto dal fiuto eccezionale, abilissimo all’uso della pistola e padrone nelle moderne tecniche di indagine.

Lo “sceriffo”, non solo sapeva muoversi con grande disinvoltura tra i vicoli e i segreti del centro storico di Palermo, ma conosceva perfettamente l’inglese, e, grazie ad un lungo periodo di lavoro negli USA, tra le strade del quartiere cinese di Soho, aveva imparato a fare lo “sbirro” in modo diverso, sviluppando un formidabile intuito. Insomma, Giuliano aveva intuito, com’era accaduto negli Stati Uniti, che per poter approndire le indagini sulle famiglie di Cosa Nostra, non sarebbe bastato indagare solo sugli uomini d’onore, ma era necessario scavare anche nel groviglio dei movimenti di capitale e degli assegni bancari. Così nel giugno del ’79, grazie alla collaborazione degli investigatori americani, aveva trovato sul nastro portabagagli dell’aeroporto Punta Raisi di Palermo, due valigie contenenti la ragguardevole somma di 500.000 dollari, che si scoprì essere il pagamento di una partita di stupefacenti tra la Sicilia e gli USA. Allo stesso tempo, all’aeroporto Kennedy di New York, la polizia statunitense aveva sequestrato eroina per un valore di dieci miliardi di lire, spedita da Palermo. Lo “sceriffo” aveva fatto centro. Anche per questo sarebbe morto Boris Giuliano.

Il Maxi processo di Palermo, riguardo l’omicidio del Capo della Squadra Mobile, nell’ambito del quale sono stati colpiti killer e mandanti, si è concluso con numerose condanne e la sentenza è definitiva dalla fine di gennaio del 1992, giorno della decisione dalla Corte di Cassazione. Nel 1995, nel processo per l’omicidio di Giuliano, vennero condannati all’ergastolo i boss mafiosi Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Francesco Madonia, Giuseppe Calò, Bernardo Brusca, Nenè Geraci e Francesco Spadaro come mandanti del delitto, mentre Leoluca Bagarella venne condannato alla stessa pena come esecutore materiale dell’omicidio.

Era il 21 luglio 1979, quando il poliziotto buono di Palermo veniva ucciso nel bar in cui prendeva il suo caffè tutte le mattine. Sette colpi di pistola sparati dal mafioso Leoluca Bagarella posero fine alla vita di Boris Giuliano che con tenacia e determinazione stava lottando contro Cosa Nostra.

Proprio nei mesi precedenti la sua morte, Giuliano stava indagando sul ritrovamento di due valigette contenenti 500mila dollari, denaro proveniente direttamente da New York, dove era stata venduta una partita di eroina. Seguendo la pista dei soldi, Giuliano riuscì a colpire Cosa Nostra fino a diventarne uno dei suoi principali nemici: dopo l’arresto dei mafiosi Antonio Marchese e Antonino Gioè fu ucciso, dopo aver ricevuto numerose minacce di morte che comunque non riuscirono a fermare il suo lavoro.
Colpito alle spalle sette volte in un bar nel cuore di Palermo quella mattina di 40 anni fa. Il 21 luglio 1979, mentre pagava il caffè in una caffetteria di via Di Blasi. Boris Giuliano fu il primo caduto della cosiddetta “mattanza”, la seconda guerra di mafia che, tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta, vide contare centinaia di vittime. Le fazioni di Cosa Nostra volevano morto il poliziotto più amato in città.

Muore a 48 anni il poliziotto siciliano ufficiale e investigatore, che durante gli anni ’70 fu in prima linea nella lotta a Cosa Nostra, e per questo motivo venne assassinato. Il Vice Questore Capo venne ucciso all’età di 48 anni, raggiunto alle spalle da sette colpi di pistola dall’assassino corleonese Leoluca Bagarella, cognato del boss Salvatore Riina. Venne ucciso al bar sotto casa, non avendo neanche la scorta. Sposato e padre di tre figli. Assassinato in un vile agguato tesogli da un killer, pagava con la vita il suo coraggio e la dedizione ai più alti ideali di giustizia.

Lo ricordiamo e ne riconosciamo la grandezza, quella di un uomo e di un servitore dello Stato che aveva già capito l’importanza della cooperazione internazionale con la polizia d’oltre oceano per la lotta alla mafia.
Un grande poliziotto del passato, del presente e del futuro. Un poliziotto numero uno. Un grazie per tutto quello che ha fatto. E’ stato un grande eroe per il suo insegnamento e per l’esempio che ci ha trasmesso. Ha lasciato un ricordo vivo e indelebile in chi lo ha incontrato a cominciare dai baffoni neri.

Eroe da non dimenticare! Siamo orgogliosi di Boris e di tutti gli altri martiri della maledetta mafia.

di Maria De Laurentiis

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