Divorzio all’indiana: ora dire “Talaq” è fuorilegge

Ci sono realtà di cui non conosciamo appieno la cultura e quanto questa possa annullare la dignità umana. Fino a quando ci si imbatte in un articolo, o si parla con qualcuno proveniente da un determinato paese. E improvvisamente ci rendiamo conto della nostra fortuna.
Facciamo un viaggio nei variopinti colori dell’India ma andiamo oltre.
Ecco. Un’usanza musulmana fino a poco tempo fa permetteva all’uomo, da sempre onnipotente, di divorziare dalla propria moglie anche per futili motivi ripetendo per tre volte la parola Talaq, Talaq, Talaq (ti ripudio, ti ripudio, ti ripudio). Lo si poteva dire al telefono, scrivere via Whatsapp, via Skype, su un pezzo di carta e per magia la consorte era bandita.
In altre parole, l’India permetteva ad un uomo di divorziare unilateralmente, senza una ragione specifica, senza prove a carico, persino senza che la donna fosse presente.

E’ da circa un decennio che Noorjehan Safia Niaz, cofondatrice della associazione Bharatiya Muslim Mahila Aandolan (Bmma), combatte perché questa pratica venga abolita in tutto il Paese, e ora che la sua battaglia è stata vinta, la voce le trema per l’emozione. “Per anni ho incontrato donne abbandonate per aver partorito figlie femmine, per essere tornate tardi dal lavoro, per aver salato troppo la zuppa. L’intera vita di una donna era nelle mani di un uomo. Ora è finita” ripete soddisfatta.
La pratica del triplo talaq venne dichiarata incostituzionale già nel 2017, con una sentenza della Corte Suprema. Nello stesso anno il partito nazionalista induista attualmente al governo, il Bharatiya Janata (BJP), ha presentato una legge che prevede, per chi utilizzi la formula, la detenzione fino ad un massimo di tre anni. Dopo essere rimasta a lungo arenata nella camera alta del Parlamento, il 30 luglio scorso la legge è stata approvata e dopo pochi giorni, con la firma del presidente Ram Nath Kovind, è entrata in vigore.
Noorjehan Safia Niaz racconta che, solo nei centri della sua associazione, negli ultimi tre anni si sono contati centinaia di casi. La pratica è illegale in 22 nazioni al mondo, molte delle quali a maggioranza musulmana, compresi i vicini Pakistan e Bangladesh. “La ragione è semplice: è solo una tradizione – ricorda Niaz – e non è prevista dal Corano, nel quale peraltro si tratta ampiamente il tema, sottolineando l’importanza di una conciliazione o una negoziazione. Se queste falliscono, si può procedere con il divorzio”.
Accusato di aver so

stenuto la misura in chiave anti musulmana, il ministro Narendra Modi, leader per partito nazionalista BJP, ha scritto su Twitter: “Una pratica arcaica e medievale è stata finalmente confinata alla pattumiera della storia! Il Parlamento abolisce il Triplo Talaq e corregge un errore storico fatto alle donne musulmane. Questa è una vittoria della giustizia di genere e favorirà ulteriormente la parità nella società. Oggi l’India gioisce!”.
Tanto è bastato per opporre, sui social, le due principali associazioni di donne musulmane indiane, la Bmma contro lo storico Bebaak Collective, che ha immediatamente postato: “In un momento nel quale tutti gli indiani pensanti sono allarmati per i barbarici atti di quotidiano linciaggio ai danni dei musulmani, e dell’impunità per gli autori da parte del governo, questo disegno di legge si presenta come una farsa completa. Non puoi fingere di salvare le donne musulmane, quando al contempo cerchi di mettere in ginocchio la comunità musulmana”. Secondo il collettivo si tratta di una legge inutile, su una questione che era già chiarita dalla sentenza della Corte Suprema, pensata con il chiaro intento di criminalizzare i musulmani.

Dissente la cofondatrice di Bmma: “In India sistema giudiziario e legislativo sono separati, le leggi hanno una valenza ben diversa rispetto alle sentenze: la legge è il vero deterrente, non la sentenza”. Respinge anche l’accusa di fomentare l’odio su base religiosa: “I casi di violenza contro i musulmani non sono una ragione sufficiente per tollerare pratiche retrograde e patriarcali. Quello in carica è un governo democraticamente eletto e noi ci siamo appellate a questo primo ministro esattamente come abbiamo fatto con i precedenti. Che, peraltro, non hanno mai fatto nulla per le donne musulmane”. Nonostante il sostegno arrivato da numerosi uomini all’interno della comunità, non sono mancati gli attacchi: “Da parte delle famiglie delle donne, di uomini che hanno paura di perdere l’egemonia, persino di altri gruppi di donne che si definiscono musulmane, ma preferiscono accettare una pratica patriarcale”.
La prossima battaglia? “Valuteremo come sarà applicata questa norma. Poi inizieremo a muoverci contro la poligamia: dopo questa legge, ci aspettiamo un aumento di casi all’interno della comunità”.
E ancora una volta, come spesso abbiamo raccontato, il vero cambiamento parte dalle donne, dalla loro forza, dalla loro audacia, dalla temerarietà con cui sfidano tutto e tutti. Noi siamo con loro, dalla parte di chi ha subito e combatte per un paese migliore, per se stesse e per le loro figlie.

di Stefania Lastoria

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