Forse la mia colpa è essere ancora vivo?

Vi chiedo di fermarvi un istante e di leggere. E’ incredibile quello che mi sta accadendo negli ultimi giorni. Ho pensato tanto prima di scrivere, perché così non si può continuare. Così ho deciso di affidare la mia paura a Voi.
Le stanno provando tutte per delegittimarmi, per screditarmi ai vostri occhi.

Prima hanno scritto che mio nonno, purtroppo morto, è stato un usuraio ed uno strozzino (basta chiedere in Sicilia chi fosse mio nonno, l’avvocato Borrometi). Poi hanno scritto che io sia gay (che non reputo un insulto, ho grande rispetto per i tanti amici gay, ma io non lo sono).
Oggi che l’attentato scoperto dalle Forze dell’Ordine l’anno scorso fosse una “bufala”. E che i Giudici e gli inquirenti fossero tutti degli incompetenti.

Chi scrive queste cose è un “giornalista” di Siracusa, già arrestato qualche mese fa con l’accusa di aver confezionato dossier su alcuni magistrati e pubblicato notizie per screditarli. Tornato in libertà ha iniziato a fare la stessa cosa con me, partendo con un articolo in cui difendeva il pregiudicato deputato Pippo Gennuso (che dopo una condanna patteggiata è tornato in Parlamento).
Al fine di fare chiarezza rendo pubbliche le intercettazioni dei boss di Pachino e le parole del Gip di Catania, affinchè possiate Voi valutare.

Il Giudice per le Indagini preliminari scrive (potete leggerlo nel documento allegato):
“A VIZZINI Giuseppe che ingiuriava il giornalista d’inchiesta Borrometi del giornale online ‘La Spia‘, il Giuliano consigliava di farlo ammazzare”.
E poi ancora: “BORROMETI, ormai, viene qua e vi dice cosa dovete fare! PICCA N’AVI (cioè letteralmente “Borrometi poco ne ha di vivere”).
Ed infine, scrive sempre il Giudice:
“VIZZINI Giuseppe commentava con i figli le parole di Salvatore Giuliano il quale, forte dei suoi legami con i Cappello di Catania, per eliminare lo scomodo giornalista stava per organizzare un’eclatante azione omicidiaria”.
“Dobbiamo colpire a quello. Bum, a terra. Devi colpire a questo, bum, a terra. E qua c’è un ioufocu (un fuoco d’artificio – ndr). Come era negli anni Novanta, in cui non si poteva camminare neanche a piedi”.
I boss di Pachino sono dei pericolosi nostalgici. Il figlio di Giuseppe, Simone, rilanciava: “Così, si dovrebbe fare”. E ancora Giuseppe: “Ogni tanto un murticeddu (un morto ndr) vedi che serve… per dare una calmata a tutti”.
Quel murticeddu, per i Giudici e per gli inquirenti, dovevo essere io ed i ragazzi della mia scorta.
Per la cronaca, Giuliano è un capomafia già condannato per mafia e svariati altri reati. Vizzini è il suo braccio destro, già condannato per aver messo una bomba sotto la macchina di una bravissima avvocatessa (Adriana Quattropani).
Sempre per la cronaca, vivo sotto scorta da cinque anni, ovvero dopo che venni aggredito fisicamente (da allora vivo con una menomazione alla spalla) e dopo il tentativo di dar fuoco a casa mia. In questi anni ho vissuto milioni di momenti neri, una enorme paura quotidiana e centinaia di minacce.

Sia ben chiaro: io alla scorta ci rinuncerei ben volentieri se mi dicessero che non corro più pericoli, visto che da allora non vado – tanto per fare un esempio – a mare, o ad un concerto, o a mangiare una pizza tranquillamente con i miei amici.
E sempre per la cronaca, ho in corso ben 15 processi in cui sono parte offesa, alcuni già conclusi sia in primo che in secondo grado con le condanne di chi mi voleva morto fra le province di Ragusa e Siracusa.
Ho fatto già a questo “giornalista” due denunce e spero presto che la Giustizia faccia il suo corso (d’altronde cosa aspettarsi da uno già arrestato per questi fatti?).
Allora mi domando e vi domando: la mia colpa è quella di essere vivo?
Oggi però la chiedo io una cosa a voi, cari amici. Leggete le parole dei Giudici.
La mia vita, e quella delle persone della mia scorta, non vale meno di quella di altri. E purtroppo Falcone diceva: “prima ti delegittimano, poi ti isolano, poi ti uccidono”.
Ho paura, perché so qual è il prossimo passo.
Affido la mia paura a Voi, così come in questi anni vi ho affidato il mio lavoro.
Condividete, perché tutti devono sapere cosa io stia vivendo: condannato a morte dai clan e “mascariato” da un giornalista che difende un deputato condannato.

di Paolo Borrometi

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