Il silenzio è d’oro?

Il silenzio è d’oro, dice un vecchio proverbio. Forse è vero, ma non in politica, che si basa sulla parola e, nel bene e nel male, anche sulla retorica. Anzi, il silenzio della politica talvolta è inquietante, perché la politica non ha il diritto di tacere e, tacendo, coprire le proprie opinioni e idee, e i propri comportamenti. Neanche con un silenzio fatto di parole vuote e rumorose.

Pochi giorni fa, il giovane sindaco di Bacoli è stato minacciato di morte dalla camorra, perché non si è piegato a certe logiche, purtroppo ancora diffuse in questo Paese; la risposta è stata il silenzio del ministro dell’interno, che non ha emesso, al riguardo, neanche un comunicato, neanche un cinguettio. Eppure la vicenda è di sua stretta competenza, sia tecnicamente, sia moralmente: si tratta ordine pubblico e, per di più, riguarda un italiano che indossa la fascia tricolore e rappresenta lo Stato. Ma, quando si dice: prima gli italiani, ci si può trovare in imbarazzo. Viene prima un italiano per bene, che si è trovato sull’altra sponda elettorale, o un italiano camorrista che, forse, può portarti dei voti?

Allora, il silenzio è inevitabile.

Un silenzio altrettanto profondo è stato opposto alla richiesta di spiegare in Parlamento l’opaca vicenda delle trattative russe di Savoini e compagni in nome e per conto della Lega. Un silenzio coperto da battute, alzate di spalle e polveroni politici di distrazione. Un silenzio, opaco come questa vicenda, che esprime un profondo disprezzo per le istituzioni e per gli italiani.

Talvolta il silenzio dice molte cose.

Ma forse il silenzio più incredibile è quello sui motivi e sulla tempistica della crisi di governo. Che non è certo il TAV, or ora ri-approvato in Parlamento per consentire al M5S di tenere in piedi il governo, senza perdere troppo la faccia. O i reciproci “no” e “sì”, magari salvo intese, che i partner di governo si sono scambiati lungo tutta la loro travagliata unione.

È stato detto che la crisi di governo serve a consentire agli italiani di votare. Ma non è stato detto perché proprio ora, né perché votare sia così necessario.

Sembra che la necessità di votare si giustifichi con il desiderio di portare in parlamento quella crescita elettorale della Lega che si è manifestata alle elezioni europee. È opinabile che sia giusto: ma, si sa, la politica qualche volta deve essere cinica. Si tace, però, su un altro motivo, un po’ meno cinico: evitare il taglio del numero dei parlamentari. In fondo, anche loro sono esseri umani e “tengono famiglia”, e non può fargli piacere una così drastica riduzione d’organico: ne va dello stipendio, del loro futuro; in fondo, sono posti di lavoro. A dire il vero, io sarei favorevole alla riduzione della spesa (magari anche del numero) per i parlamentari. Ma come posso pretendere che questi votino contro il loro interesse? Si tratta di una riforma difficile, che potrà essere attuata solo quando (e se) sarà cambiata l’etica e la mentalità del nostro Paese: i parlamentari ci rappresentano, nel bene e nel male. In un Paese in cui dei criminali minacciano un sindaco mentre il governo tace (e chi tace acconsente, a proposito di proverbi), possiamo aspettarci che si approvino leggi svantaggiose dal punto di vista del proprio particulare? Piuttosto, è meglio che cada il governo!

Ma sono tanti i provvedimenti che si bloccano con la crisi di governo: la riforma della giustizia, la stabilizzazione dei precari della scuola, la revisione del decreto “sicurezza 2” chiesta dal Quirinale, ed un numero esorbitante di decreti attuativi: il 90% tondo tondo dei 230 in attesa, secondo i dati del governo che, su questo versante, mostra sempre la propria incredibile e colpevole pigrizia.

Un silenzio schizofrenico, visto che, di solito, è il governo che chiede le deleghe.

Si tace anche su un problema ancora più spinoso: la scadenza autunnale della “legge finanziaria”. Questo è davvero un cimento difficile, ed è comprensibile che un governo populista preferisca evitarlo. Infatti, se si facesse una legge “coraggiosa”, che sforasse i limiti europei di deficit e debito (che, in fondo, sono anche i limiti del buon senso e dei nostri interessi economici), il governo metterebbe la propria firma su una crisi economica e di politica europea senza precedenti. Se si facesse una manovra più prudente e più rispettosa dei nostri soldi, si dovrebbero rinnegare le tante promesse elettorali, fatte più o meno sinceramente, ma sempre molto rumorosamente. In realtà, ci sarebbe una terza via: fare una manovra gradualmente espansiva, ma non in deficit, finanziandola con risparmi e recuperi dell’evasione. Ma bisognerebbe essere bravi, e di molto: e questi non ne sono capaci, se no l’avrebbero già fatta. Allora è meglio farla fare a qualcun altro, così possiamo avere un bel capro espiatorio, pronto per la prossima campagna elettorale.

Oppure che non si faccia per niente, così scattano gli automatismi previsti per contenere il deficit, come l’aumento dell’IVA, e ci becchiamo un’altra alzatina di spread. Ancora meglio per le prossime campagne elettorali.

Allora, conviene tacere.

Ma c’è un altro gioco cinicamente taciuto: dichiarare di voler far presto, elezioni subito, governo immediato e via la legge finanziaria, pur sapendo benissimo che non si è più in tempo: una crisi di governo ha dei tempi obbligati, costituzionalmente necessari a sciogliere il parlamento, ad organizzare le elezioni, a insediare un nuovo parlamento, eleggerne i presidenti e formare un nuovo governo, anche prescindendo da eventuali ostacoli frapposti dalle opposizioni (anche loro hanno diritto a un po’ di cinismo politico) . Eppure è evidente che, se la crisi fosse stata innescata subito dopo le elezioni europee (son passati quasi tre mesi), ci sarebbe stato tutto il tempo per avere un nuovo governo pronto a fare la nuova legge di bilancio. E sarebbe stata un’azione più limpida: la maggioranza attuale non rispecchia più la tendenza espressa dal popolo votante e sovrano, quindi sono necessarie elezioni anticipate. Invece no: dopo le elezioni grandi affermazioni di fedeltà al governo, grandi promesse di andare avanti per tutta la legislatura, neanche un rimpasto! e poi, al momento giusto… zac, si cambia idea. Almeno ci si poteva risparmiare la farsa di far cadere il governo (il proprio governo!) subito dopo averne votato la fiducia. Sembra una follia, ma solo perché si tace sulle vere ragioni. Se no, si capirebbe che non è una follia, ma una carognata.

Qualche volta il silenzio è proprio indispensabile.

di Cesare Pirozzi

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