La disuguaglianza è donna
In genere l’analisi delle disuguaglianze si focalizza tra chi ha e non ha ricchezza, reddito, accesso ai servizi fondamentali della vita o ancor più ad un superfluo divenuto di importanza prioritaria. E’ un modo per ricollocare le relazioni sociali, incasellarle, cancellarle, ridurre i rapporti umani alle cose in quanto il problema si riduce a una mera questione di distribuzione, di soldi trasformati in oggetti come forma di potere.
Andando più in profondità, in quella profondità che tanto fa paura, molte disuguaglianze esistono per ciò che si è. Sono discriminazioni legate al dato esistenziale, identitario. Sono le disuguaglianze più perniciose e violente. Tra chi è nero e bianco. Tra chi è uomo e chi donna. Si tratta di una disuguaglianza che viene prima delle cose. Sono disuguaglianze di carattere ontologico. Disuguaglianza di nascita, di appartenenza familiare, sociale, di etnia. A causa di ciò che sei. Sei diverso e quindi trattato in modo differente, con meno diritti e meno responsabilità.
E la più trasversale e universale disuguaglianza per ciò che si è, è quella tra uomo e donna. La disuguaglianza è donna. Donna relegata in casa, alla cura dei figli, mentre l’uomo decide le sorti della storia, segue i grandi fini, i grandi ideali, e le grandi perversioni. L’uomo è l’artefice dello sviluppo, la donna è la sua compagna.
Sulla carta occorrerebbe “garantire a tutti pari opportunità e ridurre le disuguaglianze di risultato, anche attraverso l’eliminazione di leggi, di politiche e di pratiche discriminatorie, e la promozione di adeguate leggi, politiche e azioni in questo senso”. In questo l’Italia si caratterizza per evidenti differenze tra uomini e donne su molteplici aspetti della vita economica e sociale: lavoro, retribuzione, carriere, istruzione, salute, politica.
Sia nell’istruzione che nella formazione le donne registrano risultati migliori rispetto agli uomini. Ad esempio, in Italia, nel 2016, il 60% della popolazione tra i 25 e i 64 anni di età possedeva almeno un titolo di studio secondario superiore. Per questo indicatore, il divario di genere è comunque a favore delle donne e risulta in crescita negli anni. Anche nel Mezzogiorno, dove la quota di popolazione con un medio-alto livello di istruzione è di molto inferiore rispetto a quanto si osserva nel centro-nord, si registra un gap di genere a favore delle donne.
Nonostante questo, le analisi sui livelli di istruzione raggiunti e la successiva transizione scuola-lavoro mostrano lo scarso utilizzo del capitale umano, particolarmente marcato per la componente femminile.
Inutile fingere di non sapere che un ruolo fondamentale gioca la non partecipazione al mercato del lavoro delle donne per difficoltà di conciliazione tra carichi di cura familiari e i carichi di lavoro.
Per l’universo femminile assistiamo ad un minore accesso alle figure apicali, maggiore diffusione di lavori part-time e carriere discontinue.
Questi dati mostrano chiaramente le differenze esistenti che possono essere affrontate con politiche anti discriminatorie perché in quella profondità che a tanti fa paura, possiamo vedere inequivocabilmente che è la questione culturale, antropologica e anche ontologica a causare queste disuguaglianze.
Ancora una volta c’è bisogno di gridare al mondo che la storia dei rapporti umani, tra uomini e donne, ha bisogno di una grande rivoluzione di lungo periodo. E chissà se oggi come oggi c’è ancora posto per “le rivoluzionarie”. Perché tanto lo sappiamo, sono sempre le donne a combattere con forza e determinazione. Sono sempre state loro a cambiare il mondo in meglio.
di Stefania Lastoria