La mummia bambina

A volte, per caso, possono venire alla luce re­perti o resti umani che anche a distan­za di millenni sono la testimonianza di Frammenti di vita.

Il corpo mummificato di una fanciulla, dorme in una teca di cristallo. Custodito tra le mura del museo archeologico romano di palazzo Massimo a Roma.

La vedi e il concetto di mum­mia che si è abituati a pensare, crolla. È un corpo senza bende e fasciature. Perfettamente con­servato. La teca, permette di guardarla da ogni angolazione. Come una pellicola che corre velocissima a ritroso nel tem­po, ti passano le immagini di quella bambina, viva. La vedi nei suoi abiti, la vedi correre e giocare. Vedi i suoi giochi, gli stessi ritrovati nella sua tomba. Come la sua bambola di legno con gli arti snodati. Immagini quante volte avrà giocato con la sua antica Barbie.

Chissà quale nome gli aveva dato? Tutte le bambine danno un nome alla propria bambola. Poi immagini la sua morte, pre­matura. Il dolore dei sui genito­ri. Talmente grande da spingerli a conservare, mummificandolo, il corpo della propria figlia.

E allora il mistero di questa fanciulla ti prende. Non riesci a staccare gli occhi da quel corpicino, dal suo volto e ti doman­di, quale nome portava?

Quel corpo del II secolo dopo Cristo, ci dice solo, sono una bambina.

Era il 6 febbraio 1964, Roma era un grande cantiere. L’ur­banizzazione della città, anche selvaggia correva veloce sulla spinta del boom economico. E proprio in un cantiere sulla via Cassia, la benna di un escavatore, tirò fuori dalla terra un sarcofago di marmo.

Il capo cantiere conscio che quel reperto, avrebbe fermato i lavori per chissà quanto tempo, decise di farlo sparire. Ordinò di caricarlo su un camion e di portarlo in discarica insieme ad altro materiale di risulta. Ma l’autista del camion, denunciò il fatto all’autorità di Polizia. E quel corpicino si ritrovò inspie­gabilmente, sul tavolo dell’obi­torio dell’istituto di medicina legale, come un qualsiasi cada­vere da identificare.

Il professore incaricato del­l’esame necroscopico, stupito, disse che il corpo era talmente conservato bene che si poteva­no prendere persino le impron­te digitali.

I lineamenti erano ben visibi­li. Si potevano notare anche i piccoli seni di adolescente. Ai lobi delle orecchie, aveva due cerchi d’oro. Mentre al dito mignolo della mano sinistra, portava un anello raffigurante Nike, la vittoria alata.

Ma il mistero di chi era, ancora rimane. Sicuramente era di famiglia ricca. Solo esperti di mummi­ficazione egizi, che si facevano ben pagare, potevano aver trattato così bene quel piccolo cadavere. Colpisce di quel corpicino, la fragilità femminile di adolescente.

E come dicevano gli antichi egizi, la morte è il mistero più grande di tutti.

di Tommasina Guadagnuolo